"Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto." (Italo Calvino)
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[#7] Polluzione notturna / Tre numeri diversi
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ARGOMENTO: [#7] Polluzione notturna / Tre numeri diversi

[#7] Polluzione notturna / Tre numeri diversi 04/06/2010 13:05 #33

Quest'ultima (ad oggi) tornata di UniVersi è stata una manche "a doppio titolo", come sapete: il primo titolo originariamente era Polluzione notturna; poi, vedendo che la risposta era sotto le aspettative, si è tentato di fare un "refresh" aprendo un nuovo tema, Tre numeri diversi. Alla fine il risultato d'insieme, 3+3 racconti, ha dato luogo ad una tornata unica, nel bene e nel male, comunque interessante.

La solita breve "scheda anagrafica"...

Periodo: Gennaio - Maggio 2010

Numero partecipanti: 6
Psycho_Kikini
gensi
Hic-sunt-leones
icarothelight
Natureboy
marcoslug
Marco

"Midnight is where the day begins."

Re: [#7a] Polluzione notturna (racconti) 04/06/2010 13:10 #34

ROSSO di Psycho_Kikini


"“Mi sento perso in un mare di niente”..?" la voce era schifata e l’uomo, che si faceva chiamare Charles ma con la “a” lunga quindi Chaaaarles aveva lo sguardo da banchiere.
"Ma che cagata è?"
"Quello che penso è, Chaaaarles" dissi
"Me ne fotto di quello che pensi. Mi fa cagare, è passata, è roba passata", aveva già chiuso e mi porgeva i fogli stropicciati
"Ma cristo Chaaaarles, hai letto una riga e forse manco l’hai capita. Ti dico, cioè, è la migliore cosa che ho scritto proprio"
"Oh sì, falla leggere a Baudelaire allora se ti riesce. E non ti abbattere ragazzo, lo sai che il tuo Chaaaarles crede in te"

Io ero proprio tutto sbandato, la mia vita mi pareva un atrio pieno di vento e circondato di porte che sbattono. Io in mezzo e ogni tanto qualche foglio, qualche pittura o qualche altra cosa svolazzava in quella tempesta ch’era bellissima. Ma se non c’era una scopata nella prima riga Chaaaarles non pubblicava nulla. “Altro che storie, lì sta tutto!” diceva lui. E aveva ragione, se non altro perché io avevo sicuramente torto. Ma, se pure la vita è semplice come la mente è squallida, tutto non si esauriva nel discorso di Chaaaaarles. Era evidente. Quella era la base, e da lì miliardi di uomini e donne spargevano dolore, illusioni, pensieri, qualche risata per poi ritornare nelle squallide paludi della realtà. “Il pensiero è un aquilone alto sopra le nuvole, ma quello che cerca sta a terra. E regge il filo”. L’ho detta a Chaaaarles e mi ha fatto: "mh, e chi sarebbe lo stronzo di turno?"
Ma la notte l’atrio ventoso e pieno di pitture, di poesie, di fotografia, di libri si riempiva di colori e di movenze. Verde, rosso (tanto rosso), nero, giallo, blu. E in quest’orgia di colori Picasso con tre nasi e sei occhi ci teneva tutti a cuore bloccato, parlandoci d’un colore: l’alma. “Ogni pittore”- diceva -“cerca di far nascere l’alma nelle proprie pitture, ma non tutti riescono a farlo né a notarlo”.
Frattanto il vento mica s’era placato e le porte continuavano a sbattere. Tuttavia nell’isteria dei rumori si sentiva bene il violino elettrico di Einstein, da via della povertà. Veniva sempre per fare una linguaccia quando tutti erano ormai fuliggine e della notte restava una candela agli ultimi passi: arrancava colpita come un soldato, dal sole e dalla frenesia degli assi. Aristotele- non l’avresti mai detto –freme d’amore per Gloria Guida, mentre Platone balla già da un’ora con Audrey Hepburn; faranno sesso come ballando, all’ombra dell’iperuranio. Oscar Wilde ride forte con la mano colma di vino, e ogni tanto si fa vicino a qualche ragazza sussurrandole i segreti della vita. Hermann Hesse, car’uomo, si lancia occhiate con Diane Flerì. Le ha scritto mille poesie stanotte ma lei le ha perse tutte. Vicino alla finestra Edwige Fenech si regge il capo col palmo, è pazza della voce di un poeta canadese che nella stanza a specchi suona solo. Ma lui non l’ha mai vista e la sua voce di rasoio anche stanotte non si addormenterà. Forse si sono sposati, prima di andare via.
L’amico fragile racconta di via del campo e nessuno gli chiede di suonare stanotte. Il papa e il diavolo lo ascoltano alla finestra parecchio divertiti. De Gregori è appena entrato nel fumo della stanza insieme al poeta al pianoforte, hanno due donne strappate a qualche pubblicità. Il vestito da sirene fa brillare le squame fino alla stanza a specchi, dove il poeta canadese sbaglia la prima nota. Già ubriaco Bukowski è in piedi sopra un tavolo e continua a ingurgitare tartine, mentre Freud lo tiene per le caviglie dicendogli che è un tipo molto sensibile. All’angolo Sartre studia un modo per far suoi i soldi del nobel appena rifiutato, e Cesare Pavese ride di lui abbracciando Cleopatra, che lo avvelenerà. Yann Tiersen ha dimenticato il violino anche oggi ma balla con Alma, entrambi sono nudi e tutti blu.
Ognuno piangeva ridendo e le caviglie delle donne erano sempre più belle col passare della notte.
Al primo sole strozzato tutto assomigliava a una festa finita da decenni. L’aria ancora spessa. Ed ecco, una delle poesie nascoste, perse, morte

Sento la terra girare
Sotto il focolare del mio pianto.
La morte bacia i miei occhi,
la vita mi graffia il petto
con le unghie
della sua mano blu.
Tutti possono entrare nella stanza buia e morirci,
ma nessuno può dirti
che il buio si divide.
Sai, ti direi
Mi accontento di una pugnalata
Se poi mi baci la ferita.
Sai, ti pregherei
Non andartene prima di un ballo
nel buio
sotto l’albero delle mie stanchezze.
Sai, l’infinito è lontano e vanitoso,
ma che te ne importa?
Lo vedi che sto ballando senza ritmo
E mi sfugge tutto?
Solo tu puoi salvarmi
O il vento mi ucciderà
Tra le foglie dell’autunno,
tu solo.


Cesare Pavese ha lasciato qui il suo diario, vicino al whiskey di Bukowski. Migliaia di spermi giacciono stanchi tra la dodicesima e la tredicesima colonna blu delle mutande a righe.

"Cristo santo ragazzo mio, io te l’ho detto che sono tutte puttanate" e continuava con lo sguardo da banchiere
"Perché?"
"Perché siamo solo uomini" fece Chaaaarles.
Siamo solo uomini, è vero. Ma io sono sicuro che Chaaaarles ha dimenticato qualcosa.
Marco

"Midnight is where the day begins."

Re: [#7a] Polluzione notturna (racconti) 04/06/2010 13:14 #36

LA ROMANTICA POLLUZIONE di gensi


L’ambulanza sfrecciò veloce lungo le strade cittadine squarciando con la sua sirena il silenzio tipico delle notti d’estate in città.
Avevo tredici anni e mio padre era stato male, molto probabilmente per il caldo asfissiante che s’era posato sopra ogni cosa. Tredici anni sono un’età strana. Sotto tanti aspetti ti senti già grande ma, d’altro canto, non hai la più pallida idea di cosa ti riservi veramente la vita nel futuro a venire. Ecco perché, la promessa di un tredicenne fatta a se stessi è difficile da valutare. Uno la vuole mantenere perché ci credeva e perché ci crede ancora. È anche vero, però, che con il passare degli anni il concetto che si ha di se stessi, della fede, delle donne, del sesso, del fumo, della droga, della libertà e così via muta, spesso in maniera brutale.

Mio padre entrò in coma il giorno successivo al malore e promisi a quel Dio che sarei rimasto casto fino al matrimonio se soltanto mi avesse concesso l’onore di salvarlo.

Il mio segreto notturno confessato al Signore sortì il suo effetto. La gioia di vederlo ancora vivo, poco meno di un mese dopo, mi riempì talmente d’orgoglio che, per il primo anno, restai casto in tutto e per tutto. Una notte però, un sogno spinto con la compagna di classe carina, esplose tutta la mia maturità. La mattina mi svegliai con uno strato appiccicoso nelle mutande che mi disgustò. Da quel giorno scesi a compromessi con me stesso. La castità sarebbe stata nei confronti del sesso vero e proprio e non più globale. Il mattino non era possibile svegliarsi in quello stato di indecenza per più di una ragione.


Circa quindici anni dopo

Pamela era una figa. Era persino inutile dire che aveva i capelli scuri e gli occhi verdi. Sarebbe potuta essere bionda, con il capello a spazzola e una benda su un occhio che sarebbe stata ugualmente una figa. Sono quelle cose che non si può descrivere a parole. Aveva intorno a se una sorta di aura ancestrale che ti rendeva un primitivo con la sola necessità di conquistare il suo ovulo al fine di creare un qualcosa di unico e grandioso.
C’era dell’interesse nei miei confronti e questo lo avevo notato ormai da un pezzo. Ma ero frenato. Il passato mi aveva insegnato che quella promessa (ormai maledetta più volte) mi aveva condannato verso un cammino difficile. Pareva assurdo ma quando accennavo a raccontare questa storia venivo dapprima capito e, probabilmente, anche osannato. Poi, il tempo, rendeva tutto difficile. Il mio impedimento lasciava incompleto il rapporto dando così il via libera a tradimenti più o meno dichiarati. E finiva lì, come sempre.

Quel giorno Pamela si sedette proprio di fronte a me in pausa pranzo nella sala mensa. Di solito i tavoli si riempivano anche di altre persone essendo da sei. Quel giorno invece, il destino o chi per lui, lasciò me e Pamela completamente isolati per oltre tre quarti d’ora. Lei colse l’occasione e non si lasciò per nulla intimorire. Cominciò a farmi domande ambigue e, alla fine, mi propose un aperitivo la sera stessa.
Rifiutai, non fosse altro che non saremmo stati soli e che gli aperitivi mi facevano sinceramente schifo. I suoi occhi verdi divennero di fuoco. A pensarci bene, forse, non aveva mai ricevuto un rifiuto soprattutto da parte di un uomo. Era abituata ai “si, va bene” e, forse, fu proprio questo a stimolarla a conoscermi di più quasi fossi diventato una sfida da vincere.
Il copione si ripeté il giorno successivo e poi quello successivo ancora. Era venerdì. Alla sua domanda “ma perché mi dici sempre no? Anche se sei gay puoi venire ugualmente con noi”, sbiancai. Io gay? Ma come si permetteva? Le sembrava così assurdo che qualcuno potesse dirle di no nonostante fosse dichiaratamente una figa?

“Guarda che io non sono gay. Semplicemente gli aperitivi mi chiudono”
“Ti chiudono? In che senso?”
“Mi chiudono…mi danno fastidio…mi danno senso di oppressione. Tutta quella mandria di persone che, o si ubriaca o si avventa sul cibo quasi fossero degli aiuti umanitari, non so, non mi piace”
“Sei veramente un tipo bizzarro, sai?”
“E questo non ti affascina?”
Usai il massimo della profondità della mia voce nel pronunciare quell’ultima frase. Lei scoppiò in una fragorosa risata al punto che ebbe una “polluzione” di coca-cola fuori dal naso. Probabilmente fu quello il momento decisivo nel quale decidemmo di frequentarci.

“Allora niente aperitivo ok? Però ti va di fare qualcosa assieme?”
“Ovvio. Se ti fidi di me vedrai che passerai una bella serata”

Feci l’uomo “all’antica”. Vestito quasi elegante, cena romantica e passeggiata sul lungomare. Semplice appunto, antico ma pur sempre incantevole. Fortuna volle che il tempo fu clemente con una luna spettacolare che fece da spettatrice.


Un anno dopo circa

Il mio comportarmi “all’antica” fece da sostegno a quanto stava accadendo. Il rapporto funzionava brillantemente con momenti romantici e litigi ben mixati tra di loro al fine di rendere il tutto perfettamente equilibrato. Pamela però era così. Di tanto in tanto ti sparava un siluro dritto nella faccia e tu dovevi rispondere. Così la sera dell’anniversario del nostro primo incontro, mi sparò.

“Hai qualche problema sessuale?”
“Cosa?”
“No chiedevo. Perché vedo che funziona tutto, va tutto bene ma, alla fine, manca sempre qualcosa. Ho capito che sei un tipo all’antica ma mi pare che di occasioni ce ne siano state. Perché non vuoi fare l’amore con me?”
“L’ho promesso in cambio della vita di mio padre. Lo so, sembra stupido e quando l’ho chiesto avevo solo tredici anni ma cosa ci vuoi fare? Se poi lo faccio e succede qualcosa a mio padre mi sentirei in colpa per tutta la vita”
“Quindi hai deciso di rimanere per sempre vergine? Più che altro mi stai dicendo che sei ancora vergine?”
“Si alla seconda domanda, no alla prima. Ho promesso che mi sarei prima sposato”
“Beh, che fossi bizzarro era ormai stabilito…ma a tal punto. Credi davvero che la vita di tuo padre dipenda dal fatto che tu faccia o no l’amore?

Mi scioccò. In fondo, io, quella domanda così brutale non me l’ero mai posta. D’altronde aveva ragione, non potevo essere così onnipotente da poter presumere che la vita di qualcuno dipendesse solo dalla mia astinenza sessuale. Non solo, ero con a fianco lei, Pamela, il sogno proibito di chissà quanti altri uomini e io me ne stavo lì, immobile, fedele a quella assurda promessa da ragazzino?

“Hai ragione, andiamo di là”.

Cominciammo a spogliarci in un turbinio di emozioni contrastanti. Dentro ero una belva ma volevo essere delicato come un fiore. Un toro piacevole come un vestito di seta. Ci scambiammo i baci, le effusioni, i sospiri ma qualcosa continuava a non funzionare. Maledetto infame. Per anni, giorno dopo giorno, aveva sempre fatto il suo dovere primitivo e ora, proprio ora che doveva funzionare, se ne stava rintanato nel suo rifugio come un pezzo di pelle in più attaccato lì per sbaglio?
Maledetto infame.

A me salì il panico e Pamela se ne accorse subito. Lei invece rimase tranquilla e mi rincuorò.

“Guarda che non è colpa tua. È che tu ormai ti sei fissato con sta cosa di tuo padre ed è evidente che ora le cose non funzionano. Tranquillo, stasera dormo qui con te e in futuro vedrai che si sistemerà tutto. Alla peggio ti sposo…”

Era una stramaledetta figa sensibile e intelligente. Non potevo che ritenermi fortunato e, forse, fu in quel momento che mi convinsi che era ora di muovere il passo decisivo. Nel prossimo incontro le avrei chiesto di sposarmi.
Rindossai il pigiama e lo fece anche lei. Ci accoccolammo ancora un po’ e poi ci addormentammo mano nella mano.

Il mattino dopo lei mi svegliò con il sorriso sulle labbra:
“Spero tu abbia almeno sognato me stanotte, guarda che casino hai combinato sulle lenzuola…”
Marco

"Midnight is where the day begins."

Re: [#7a] Polluzione notturna (racconti) 04/06/2010 13:16 #37

LA FUORIUSCITA di Hic-sunt-leones


Anche quella sera avvenne. Fu inevitabile. Il liquido giallastro e caldo fuoriuscì senza preavviso, inaspettatamente. Fu uno zampillo, e un altro, e poi ancora un altro. Scivolò giù, senza rumore.

Massimo era su di giri, non ci credeva. Faticava a reggere la canna da pesca tra le mani. Ma quanto tirava, doveva essere uno squalo!Ben presto però la sorpresa si tramutò in timore nel momento in cui, non volendo mollare la lenza, fu trascinato per metri e metri lungo l'argine del fiume. Non ci stava più dietro ormai, credeva di aver fatto chilometri correndo, sbuffava e sudava senza tregua, ai piedi diverse vesciche gli si erano formate a causa degli stivali in plastica scomodi, non certo adatti per quella gara podistica intrapresa contro una preda non solo tenace, ma estremamente potente. Ma che diavolo di pesce poteva aver abboccato? Finalmente la salvezza, due rocce tra loro vicine permisero a Massimo di fare leva con le gambe e tirare con forza la lenza, che quasi si spezzò per la violenza della manovra di blocco attuata. L'abboccante subì il brusco stop, ma non si diede per vinto e tirò con la residua forza che aveva in corpo. Furono strattoni tremendamente violenti, tanto che a Massimo sembrò che le braccia gli venissero strappate via a forza. Dovette farsi violenza per non mollare la canna e resistere. Ma dopo tre o quattro tirate, i classici colpi di coda, la preda sembrò definitivamente sconfitta. Massimo fu però cauto. Diede qualche colpetto, concesse un minimo di lenza, per svelare l'eventuale bluff del suo avversario, che, a quanto pare, si era definitivamente ritirato dal gioco. Quando estrasse la preda dall’acqua Massimo si sedette a terra per lo sbigottimento.

Ancora zampilli e fuoriuscite lungo la fredda e liscia superficie argentea.

Marco non credeva ai propri occhi. Prese la sua fotocamera e non si lasciò sfuggire quel miracolo della natura, o era un'aberrazione? Marco riteneva che quello che si definisce straordinario va sempre preso con le pinze: il fatto che sia fuori dall'ordinario non presuppone per forza che lo sia in senso positivo, anche se negli utilizzi della lingua comune questa è l'accezione con cui lo si usa. Guardando la foto dal monitor della sua digitale non potè fare a meno di pensare, con un brivido lungo la schiena, nel rispetto delle proporzioni che vedeva a video, alle dimensioni di un eventuale insetto che vi si sarebbe posato sopra per facilitare l'impollinazione. Adesso aveva materiale per il concorso fotografico cui voleva partecipare. Sapeva che scendere vicino agli argini inaccessi del fiume gli avrebbe procurato materiale importante per i suoi scatti, ma non si aspettava quel colpo di fortuna.

Il liquido caldo e giallo colava, rinnovando le scie ineluttabili di quegli ultimi mesi.

Roberto emise un grugnito di soddisfazione:“Sì, così, continua, sì, togliti il reggiseno, ah sì fammi vedere le tue belle zinne, ah sì, così brava, no, non spostarti, che fai, torna indietro, sì, sì, brava, così, ora le mutandine dai... dai ahh, sì, sì, sììììììì”. Tirò la tenda e corse in bagno per cancellare le tracce del suo triviale vouyerismo, che gli avevano riempito la mano e macchiato una zampa del treppiede su cui poggiava il telescopio. Che genialata... fingersi astrofilo per sfruttare le lenti del suo teleobiettivo come invadenti estensioni dei suoi occhi negli altrui appartamenti, meglio se abitati da giovani studentesse. Quanto gli piaceva... Lo faceva ogni sera, ogni volta che ne aveva tempo e voglia, ed entrambe le cose non gli mancavano di certo.
Ora però doveva studiare, era meglio che tornasse sui libri. Gli era servita quella pausa, ma dannazione, non era stato attento, attorno ad una zampa del treppiede, sulla moquette, si era formata una piccola pozzanghera di liquido... porca vacca doveva pulirla subito altrimenti sua madre se ne sarebbe accorta.
Ma porca quella vacca, la moquette proprio beige doveva essere, che poi seccandosi la macchia sarebbe diventata gialla scura. Che idiota, avrebbe dovuto essere più cauto. Corse a prendere dell'altra carta igienica, alzò il treppiede e strofinò con vigore, tanto da far consumare la carta igienica nell'attrito con la moquette. Ora ci sarebbe stata una macchia gialla con inserti bianco-grigiastri, proprio una bella opera, degna di Andy Warol.. ok, avrebbe iniziato a portarsi del tè in camera, in modo da poter affermare con vigore, all'eventuale obiezione della guardinga madre, di aver macchiato per terra a causa di una goccia di tè fuoriuscita dalla tazza. Cercò di riappoggiarci sopra il treppiede in modo che nascondesse alla meglio quell'obbrobrio, ma ops, quasi gli cascava il telescopio, che riuscì a salvare per miracolo. Girando però l'arnese aveva completamente cambiato traiettoria e spiando dalle sue lenti Roberto scorse qualcosa di poco chiaro...

Dal quotidiano “Il Piccolo” del 12.02.2010, in prima pagina:
“L'Università degli studi Biologici di Trieste ha effettuato accurati studi, scoprendo fenomeni che aprono nuovi e inquietanti scenari per i futuro. Il Prof. De Profundis, docente di Biologia, incrociando le preoccupate segnalazioni ricevute dal suo dipartimento, ha ottenuto una conferma perentoria, da lasciare impietriti: i liquidi di scarto della produzione della multinazionale Permas, nota casa produttrice di farmaci, finivano nel fiume Timavo, ma ci giungevano dal sottosuolo, nel punto in cui il Timavo si inabissa sotterraneamente per poi riuscire alla luce solo dopi alcuni chilometri di corso. La perdita era in un punto poco visibile del silos metallico a tenuta stagna deputato a contenerlo e pressurizzarlo per renderlo inerte, e pare si verificasse solo in determinati condizioni atmosferiche e solo dopo il tramonto. L'aspetto preoccupante della vicenda è che la reazione del liquame inquinante con le acque del fiume ha comportato delle alterazioni abnormi su alcune forme di vita animali e vegetali, che sono mutate geneticamente per sopravvivere alla mefitica fonte di avvelenamento che li ha raggiunti, causando veri e propri disastri da un punto di vista dell'ecosistema, che si spera gli esperti possano arginare ora che il caso è scoppiato in tutta la sua gravità. Le mutazioni in questione si sono manifestate tramite un accrescimento abnorme di certe specie, con tutti i disequilibri che ciò ha comportato anche per le specie viventi collegate a quelle geneticamente mutate e, conseguentemente, a tutto il territorio circostante. La Permas è stata condannata a convertire a spese proprie e sotto il controllo di esperti direttamente nominati dal Comune e dall'Università il proprio impianto, in modo da poter fornire un servizio di riciclo e pulizia delle acque reflue di tutta la zona e in particolare lungo il tratto sotterraneo del Timavo. Le misure giudiziarie a carico della Permas tuttavia non sono concluse, si aspettano ulteriori sviluppi sulla base degli accertamenti in atto.
Il Prof. De Profundis afferma che 'Se non fosse stato per le segnalazioni di alcuni coscienziosi concittadini, la nostra città avrebbe potuto divenire la culla di inimmaginabili mostri, di veri e propri OGM, intesi come modificazioni genetiche incontrollabili, scaturite da una fonte inquinante subdola e letale. Ma se così non è lo si deve in particolare a Roberto, Massimo e Marco, che ringrazio a nome di tutta la comunità. Senza le loro dettagliate e preoccupate indicazioni il fenomeno avrebbe potuto avere dimensioni ancora più sconvolgenti di quanto già non siano. Non dobbiamo perdere il senso della realtà, cercando di capire che non tutto può essere considerato normale o inevitabile. Dobbiamo riflettere e capire quali sono i segnali che la natura ci invia. Se non sapremo coglierli il nostro futuro si avvia a essere molto buio'.”
Marco

"Midnight is where the day begins."

[#7b] Tre numeri diversi (racconti) 04/06/2010 13:22 #38

SOLITA VITA STESSA MERDA? di icarothelight


ANNA.
Il freddo le era calato addosso improvvisamente. Come se non fosse lì da quattro ore. Come se non fosse inverno da una vita. Soffiò sulle mani un alito caldo. Non le servì a nulla, se non a farle sentire ancora più freddo. Si spinse giù la minigonna. Quello era un gesto automatico, non dovuto alle condizioni climatiche. Un puntino bianco in lontananza apparve nella tenebra notturna. Il puntino raddoppiò. Una macchina, forse. Una speranza più probabilmente. Le capitava da troppo tempo ormai di provare quel sentimento.
Magari questa volta è quella buona. Forse la mia vita non è destinata per sempre fra le fauci di questo freddo maledetto.
Strinse le gambe, preparò il suo migliore sorriso, aumentò la scollatura della maglietta bianca con un grosso uno nero stampato sul petto ed attese. Ma nulla accadde anche quella volta. Solita vita, stessa merda.

RITA.
Spense la cicca della sigaretta con forza contro il portacenere di vetro. Tornò alla finestra ed attese con la smania di una vita. Il buio della notte le impediva di esserne certa, ma i fari in lontananza sembravano quelli che si aspettava. Una smorfia di sorriso si fece strada tra le labbra, prese il gioiello dal tavolino del salone. Un piccolo uno d’oro, un ciondolo che non aveva mai indossato, ma che aveva sempre arredato il suo mondo. Il regalo di Riccardo, suo marito, scomparso oramai da otto anni.
Gli occhi corsero nuovamente fuori, verso la strada. I fari si avvicinavano e la convinzione fossero quelli giusti aumentava. Crollò improvvisamente in un pianto di gioia, appoggiandosi alla tenda della finestra. Le ginocchia parevano fatte di nuvole.

ANNA E GLORIA.
La luce lampeggiava dietro la vettura. L’uomo anziano s’irrigidì bruscamente, mentre la ragazzina seduta a lato parve meno in difficoltà.
Solita vita stessa merda pensò.
L’uomo fermò l’auto, mentre il poliziotto comparve nel suo finestrino. Era un uomo magro e piuttosto giovane. Il distintivo ben in vista pareva luminosissimo. Come a ricordare bene quale fosse il suo compito.
“Favorisca patente e libretto per favore”.
L’uomo alla guida fece segno di non aver sentito ed abbassò il finestrino.
“Mi scusi può ripetere?” Lo sguardo fisso e sicuro intimorì un po’ il giovane rappresentante della legge.
“E’ sua figlia?” Indicò la giovane in minigonna cortissima.
“Certamente!” Un sorriso imbonitore cercò la complicità del poliziotto.
“E cosa ci fate alle 4 del mattino in una via piena di prostitute giovani?”
“Oh su agente non mi faccia perdere tempo. Ci lasci andare, siamo in ritardo… non vogliamo problemi!” La voce s’era fatta improvvisamente arrogante.
Il poliziotto indietreggiò per un attimo poi chiese all’uomo di uscire immediatamente dalla macchina. Ma non fece in tempo a concludere la domanda. La portiera lo colpì improvvisamente facendolo cadere per terra. Sentì addosso i cento chili del vecchio in un attimo. “Cos’è non ci senti bene? Eppure credevo che fossi a posto! Non ho tempo da perdere con i pisciasotto come te!” Strinse le mani cercando di strozzarlo.
“Metta immediatamente le mani sulla testa e lo lasci andare!”
Si voltò ancor più seccato e vide una donna poliziotto che gli puntava una pistola contro. Si fermò immediatamente, la guardò incredulo. Bel bocconcino pensò. Colpì violentemente la testa del ragazzo e si lanciò verso la donna che premette il grilletto. Il primo proiettile gli sfiorò i capelli, il secondo lo centrò sotto l’occhio destro. Cadde con un frastuono per terra, ebbe un lieve sussulto e morì quasi subito.
La donna abbassò l’arma ancora fumante e armeggiò con la ricetrasmittente: “Centrale qui pattuglia uno. Devo segnalare…” ma si bloccò. Si avvicinò all’auto chiedendo al giovane collega se fosse tutto apposto. “Più o meno, grazie Gloria” fu la risposta.
Qualcosa non la convinceva. Il lato passeggero dell’auto fermata, ora era deserto. Osservò bene nell’abitacolo, ma non trovò nessuno. Lanciò uno sguardo al ragazzo che fece un cenno con la testa.
La bambina era scappata.

RITA.
Era seduta sulla poltrona con le gambe accavallate. La vestaglia le si era aperta così da lasciargliele in bella mostra. Tirò ancora dall’ennesima sigaretta mentre componeva il numero di telefono. Attese per qualche istante la risposta:
“Lo so Rita è tutto molto strano!”
“Ma come ucciso dalla polizia? Dopo tutto quello che ho pagato! Non ci posso credere!”
“Te l’avevo detto che era un tipo bizzarro, io non avrei scelto lui..per una cosa così importante”
“Si vabbè… e ora che si fa? Mia figlia dove si trova? “
“Non lo sappiamo… di certo non batte più lì da due giorni, stiamo provando a setacciare altre zone della città…la ritroveremo vedrai.”
“Non ci posso credere! Eravamo finalmente ad un passo dopo anni di ricerche.”
Chiuse la conversazione con rabbia, sbattendo la cornetta. Pianse di colpo, ma non riuscì a sentirsi a meglio.
Qualcuno bussò alla porta.
“Chi è” chiese lagnandosi.
“Signora sono Emanuela, c’è un nuovo arrivo.”
“Entra , ma facciamo in fretta!”
La donna entrò in camera tenendo per mano una ragazzina di circa dodici anni.
Rita osservò la bambina per qualche secondo poi con un cenno della mano fece segno che poteva andare.
“Lavala per bene e poi portala in strada per le 22, comincia a lavorare da oggi!”
“Certo signora!” La porta si chiuse di lì a poco lasciando Rita nuovamente sola nella stanza. Prese in mano il ciondolo d’oro e se lo portò alla guancia. Si accese l’ennesima sigaretta. Lo sguardo che le si disegnò in volto era un misto di speranza e nostalgia.

ANNA
Era davvero stanca. C’era un gran caldo quel giorno ed i clienti erano più del solito.
Si spinse giù la gonna perché certi gesti non riescono a scomparire e sorrise all’uomo del tavolo centrale che le ricambiò la cortesia.
Qualcuno la cercò ansioso: “Signorina! Venga qui, m’è caduto il vino per terra!” Era un uomo sui quaranta di bell’aspetto. Sedeva con una donna appariscente che indossava una gonna molto corta. Per un attimo le sembrò di riconoscerla.
“Arrivo subito!” rispose e corse in cucina. Prese uno straccio ed andò dalla coppia.
Niente di esagerato. Qualche goccia di vino rosso sul pavimento.
Prese a pulire con lo straccio strofinando con moderazione. La mano in un gesto orizzontale faceva scorrere il panno. Destra sinistra destra sinistra.
L’ultimo brandello di una maglietta bianca cancellò in un baleno le macchie di vino.
Marco

"Midnight is where the day begins."

Re: [#7b] Tre numeri diversi (racconti) 04/06/2010 13:23 #39

UN ASSURDO DESTINO di Natureboy


LA NASCITA
La vecchia correva ansante, il telaio sotto l’umida ascella, la bocca semiaperta, rivelante una assai poco accomodante panoramica. Era giunta in una stanza circolare con quattro porte, dove altre due decrepite la stavano aspettando intorno ad una sfavillante pozza d’acqua, stranamente densa.
“È da ore che ti aspettiamo, Cloto. Spero tu sappia quale grave calamità ha causato la tua ignobile sciaguratezza!”, disse una delle vecchine, molto adirata. La nuova arrivata, ancora con il fiatone, orchestrò con il suo rozzo telaio, tessendo un robusto filo olivastro, stranamente rilucente nella penombra della sala.
“Cosa vuoi che sia un po’ di ritardo…”, disse Cloto, a metà tra l‘annoiato e l’incuriosito.
Ad un tratto lo specchio d’acqua contemplato dalle tre donne (anche se ormai di umano, o di vivente, conservavano assai poco) cominciò a ribollire, e nell’istante in cui il filo tessuto da Cloto vi si immerse, diventò fluorescente e sgradevole allo sguardo. Un’immagine affiorò dal fondale…

“È un… maschio direi…”, esclamò allibito l’ostetrico, cercando di sovrastare le urla della squallida creatura che aveva appena estratto. Il neonato – se così possiamo definirlo – era stranamente deforme, una narice più larga dell’altra, le orecchie sghembe e gli occhi spaiati, come se li avessero incollati casualmente da due bambini diversi. La madre, sfinita dall’estenuante travaglio, prese tra le braccia il bimbo, ma l’orrore che rivelò il suo strillo penetrante era pari forse solo all’immenso disgusto provato. Il padre, un omino poco attraente e con un paio di baffetti smunti, arrivò trafelato, ma non appena vide l’orrida forma del suo primogenito, esalò un gridolino incerto prima di stramazzare senza fiato al suolo.
“Ecco, io lo sapevo! Ahi sciagurata! Che tu possa cavarti un occhio con il tuo filare!”, strepitò energicamente una delle tre anziane, dando voce anche alla muta indignazione dell’altra.
“Ma cosa vuoi che sia, Lachesi? Nella mia esistenza ho visto di peggio. Non dimenticherò mai quello spilungone mezzo politicante con il viso incavato!”, disse Cloto, sghignazzando volgarmente, amplificando l’astio delle sorelle. Lachesi si avvicinò spavalda alla pozza, pavoneggiandosi altezzosamente nell’avvolgere il filo in precedenza ordito, creando abilmente una sorta di spirale, come a dimostrare la sua inattaccabile professionalità.
“Guarda come si fa, disgraziata!”, disse, ma nel terminare con uno spettacolare ghirigoro la sua tessitura, si punse energicamente un dito, facendo sbattere violentemente il telaio contro la base della pozza d’acqua, nella quale maldestramente le finì. Lachesi si precipitò sul cratere ribollente, salvando un filo dell’intreccio così scelleratamente oltraggiato. Cloto rise sguaiatamente alla faccia della sorella, che, corrucciata, dovette sorbirsi la ramanzina della terza vecchia, la più grossa e la più temibile di tutte. Nel tafferuglio di bieche urla e schiamazzi, il liquido nella cavità diventò schiumante e di uno sgradevole color muschio…

LA CRESCITA
“Oh mio Dio, ma sei un mostro!”, esclamò disgustata la cassiera. Ugly quella mattina aveva azzardato un’inusuale fuga dalla sua stanzetta barricata, dato che aveva terminato il repellente per le mosche, che puntualmente tiranneggiavano nella sua modesta abitazione di periferia. Il povero ragazzo – perdonatemi l’ardire nel definirlo tale – di solito evitava di palesarsi in pubblico in pieno orario di punta, ma quel ronzare impenitente gli aveva dato la sensazione di aver perso qualche pezzo fra incudine e martello all’interno dell’orecchio, e alla fine aveva ceduto al male minore (si fa per dire ovviamente).
Ma dove saranno i suoi genitori direte? Il povero Ugly – ahimè – aveva perduto il padre in un bizzarro incidente con il diserbante, poiché, avendolo maldestramente scambiato per orzata, lo aveva ingollato a grandi sorsate in una calda mattina di giugno, trapassando così repentinamente da non avere nemmeno il tempo per manifestare disgusto. La madre invece, logorata dalla vergogna per la sua squallida situazione vedovile e dalla pietà – mista a ribrezzo – per un figlio così assurdamente anormale, si era suicidata poco dopo chiudendosi ripetutamente e con violenza la testa nel freezer, fino a decapitarsi di netto. Lo sventurato ragazzo aveva dovuto improvvisare una risicata sopravvivenza dopo la sventurata quanto tragica doppietta funebre, raccattando qualche vivanda nei pressi dell’orario di chiusura del discount più vicino, quando ad orripilarsi al cospetto della sua grottesca sagoma v’era solo un esiguo manipolo di sventurati.
Ugly pagò lestamente il conto e scappò via, gettando il panico in un gruppetto di anziane signore altolocate e dall’aria pomposamente altezzosa. Dato che non aveva voglia di tornare nella sua topaia, decise di salire sulla collina che sovrastava la città, cercando un salutare isolamento.

LA MORTE???
“Due sacrileghe imbonitrici di sudiciume, ecco cosa siete voialtre!”, tuonò la vecchia più anziana. Questa, mettendo a tacere le due sorelle con il suo tremendo vocione baritonale, era ben decisa a riparare la situazione con pragmatismo. Afferrò fatalmente il malconcio telaio con le sue mani putrefatte, e lo contemplò nauseata.
“Non mi dirai che intendi ucciderlo, Atropo?”, chiese ostentatamente Cloto. Atropo le gettò uno sguardo omicida, che stranamente le calzava a pennello. Dopodiché imbracciò un paio di cesoie arrugginite, pronta alla sua triste mansione…

Ugly arrivò ansante e sudaticcio sulla cima della collina, la quale si affacciava bruscamente sulla città con un insidioso strapiombo. Il ragazzo contemplò con aria assente il panorama, poi, senza pensarci più di tanto, si gettò di colpo nel vuoto. L’aria sferzava i suoi radi capelli e la sua fronte glabra, le mani afferravano il nulla…

“Sono arrivate le pizze!!!”, gridò una voce fuori dalla stanza.
“Ed era pure ora!”, esclamò gaudente Cloto, sfilandosi la maschera dal volto senza tante cerimonie.
“Uffa, mi stavo divertendo così tanto… proprio sul momento più bello…”, piagnucolò Atropo, andando ad accendere la luce, negando di colpo tutta la tetraggine alla stanza.
“La prossima volta faccio io la Moira della morte; non è giusto che le cose più belle le fai tu!”, esclamò irritata Cloto, affondando i denti bianchi e perfetti nella mozzarella filante.
“Amo la pizza…”...

Ugly capì di non essere degno dei suoi genitori nemmeno in quello che lui sperava fosse il suo punto di morte. Era precipitato di netto in un camion di passaggio contenente una morbida balla di fieno, accogliendo contro ogni legge probabilistica il suo assurdo destino. Povero Ugly, era così deciso a farla finita…
Ma si sa, quando il Fato ci si mette, non c’è verso per contraddirlo.
Marco

"Midnight is where the day begins."

Re: [#7b] Tre numeri diversi (racconti) 04/06/2010 13:24 #40

IL CACCIATORE DI NUMERI di marcoslug


«Serviamo ora il numero…» Serviamo ora il numero…? No, che fai, Palazzini? Non sentire! Urla dentro, forte, copri le voci. Non è il tuo numero quello. Non è il tuo stramaledetto numero. Quello lì però sì, vero Palazzini? Punta il distributore di numeri a strappo, concentrati su quel meraviglioso oggetto rosso. Un balzo felino, il braccio allungato quel tanto che basta, il pollice che scorre sapientamente a tirar giù un lembo del bigliettino e… zac! 92.
– Maledizione, siamo fuori!
– Prego? – la tizia del reparto gastronomia, capelli vaporosi e mento prominente, che mi guarda con aria interrogativa.
– No, mi scusi, è che la seghettatura del… del distributore mi ha bucato leggemente. Ma non è nulla.
Biiip. «Serviamo ora il numero 92.»
– È lei?
Eh già, ci sono solo io.
– Sì, sono io… Ma non volevo niente…
– Ma come? Mah… che tipo strano!
Che sfortuna Palazzini, che sfortuna! Nove decimi di probabilità andati a farsi friggere, così. E… e se fosse 29? Dopotutto alle volte le simmetrie funzionano… 29… È pure tanto che… che… No, non mi convince, dannazione! Meno male che è ancora lunedì…
Qualcuno mi bussa sulle spalle.
– Guardi, può andare alla cassa veloce, visto che ha meno di 10 pezzi, è completamente libera. Vede, la cassa numero 7.
– Eh? Ma che diamine! Chi l’ha autorizzata a dare così i numeri?
– Ma… ma io volevo solo esserle d’aiuto! – piagnucola una distinta signora sulla cinquantina.

Numeri. Sono dappertutto, ci circondano. Ma è normale che sia così. La gente, la gente ignorante, è convinta che un numero sia solo quantità, un mero strumento per etichettare le cose. Ma la misura è quantità! Il numero invece è legato alla materia congiunta, come diceva qualche filosofo rinascimentale. Il numero è qualità, anzi è sintesi di qualità, come diceva… Chi lo diceva? Ah certo, lo dicevo io: l’odiato professore di matematica Stefano Palazzini. Che poi è impazzito dietro al gioco dei numeri e si è reinventato cacciatore. Cacciatore di numeri. È semplice, sapete? Basta munirsi di taccuino e annotare i numeri giusti, quelli che la realtà ci suggerisce. E poi giocarci un po’, trovare le congiunzioni, estrarre le informazioni salienti e depennare quelle menzioniere… et voilà: ecco i tre numeri magici! È così semplice che ancora non li ho trovati. Ma ci sono quasi, ne sono convinto.
Libera l’istinto, Palazzini, liberalo. Chiudi gli occhi, cancella ogni pre-struttura, e poi riaprili. Così… ancora due passi e poi accendi la vista. Dove ti trovi? Via Cavour 56. 56… scritto! Dai, questo è il numero giusto! Riproviamo la formula: occhi chiusi, mente sgombra… accendi la vista! Dannazione, non c’è niente stavolta! Osserva meglio, Palazzini, osserva la materia. Cosa vedi? Sì, dunque… c’è un gruppo di persone che aspettano alla fermata degli autobus; c’è un gruppo di una, due… sei persone. Sei persone. 6. Fantastico. E una di queste è un ragazzo che indossa la maglia di Diego, numero 28. 28… che è la metà di? È la metà di 56! Meraviglioso. Puoi fermarti, Palazzini, è fatta.
« Signora, sa per caso se il 20 passa ancora dalla stazione? Da quando hanno pedonalizzato il duomo e cambiato tutte le linee non ci sto capendo più niente…»
« Il veeenti?»
« Signore, mi scusi, sa che ora sono?»
« Le sette e tre quarti. O, se preferisce, le 19 e 45.»
Risatina divertita. È fatta, Palazzini, spegni tutto.
« Ehi Lau, ma quanto l’hai pagata questa maglia da H&M?»
« Non ci crederesti mai: 39 euro e 90! Benedetti saldi!»
39 euro e 90. Eh sì, un bel prezzo, non c’è dubbio. Perché da H&M fanno gli sconti al 30 o 40 per cento, ma come minimo! Secondo me arrivano anche al 70! Risatina. Isterica. Ma cosa fai Palazzini, li assecondi? Era fatta, dovevi spegnere tutto! Ma cosa volete da me? Lasciatemi in pace! Non è colpa mia se c’è un esubero di numeri! Io ne volevo solo tre. Solo tre.

– Stai poco bene?
– Chi, io?
– Sì, tu.
Mi stropiccio gli occhi: una bionda mozzafiato mi sta venendo incontro, stretta in un vestito da sera color crema. La scollatura è vertiginosa, ma non riesce a ridestarmi del tutto.
– Questo ti farà starà meglio…
Un bacio violento mi sorprende. Le labbra della signora, che a prima vista mi sono parse sottili e disegnate nel rispetto delle forme, mi mangiano tutto. E si gonfiano e gonfiano a dismisura. E gonfiano dentro di me un irrefrenabile desiderio che tutto cancella. E poi il desiderio a poco a poco diventa rilassato compiacimento che mi fa stare bene.
– Stai meglio?
Annuisco inebetito.
– Ma come ti chiami?
– Mi chiamo Thyche. Ora devo andare però, mi perdonerai Stefano.
– Thyche…
– Sì?
– Dimmi tre numeri…
– Li hai già…

Sveglia Palazzini! Palazzini? Eh? Sì si, eccomi… Ma dove sono? Sono su una panchina. Bene, è già qualcosa.
– Lo sa qual è il colmo per un ciccione?
– Eh?
Un bambino, seduto sulla panchina accanto alla mia, mi osserva, più o meno come si osservano dei pesci in un acquario, con gli occhi che luccicano per il riflesso del vetro.
– Mi scusi, ho visto che si era svegliato… Comunque, lo sa o no qual è il colmo per un ciccione?
– No…
– Essere del segno della bilancia!
– Ma io sono… della bilancia…
– Mi scusi, non volevo!
– Figurati, bambino… Ora devo farti io una domanda: che ore sono? E, soprattutto, che giorno è?
– È martedì, signore, e sono le cinque in punto. Deve andare a giocare?
La domanda calzante mi ghiaccia il sangue. Poi il bambino, capendo il mio stupore, mi indica la manciata di schedine ai piedi della panchina. Devono essermi cadute dalla giacca durante il sonno.
– Beh sì…
– Anche mio nonno gioco sempre al lotto. Lei che giocata fa?
– Un terno secco, tutto su tre soli numeri. Pensa, si vince 4500 volte la posta!
– Insomma non si diventa milionario… E, se mi hanno insegnato bene a scuola, allora la probabilità di vincere è 1 su 4500, dico bene?
– Beh, per la verità è molto più bassa…
– Non mi sembra allora un grande affare, signore!
Mi sono svegliato da cinque minuti e questo bambino ha già attentato due volte alla mia autostima. Lo guardo attentamente, ma non mi suggerisce alcun numero. In compenso il bagliore dei suoi occhi mi fa venire in mente il blu elettrico della scintilla di un accendifornelli. E nel quadretto che mi si è presentato davanti agli occhi quella scintilla divampa improvvisamente in una fiamma vigorosa. Ne sento il calore.
– Sai che hai ragione, bambino? Senti, ti va di fare una passeggiata in centro per un paio d’ore?
– Volentieri, signore!
Mi guardo intorno: l’ambiente tutto – le case basse, i marciapiedi, le persone che schiamazzano e si muovono disordinatamente – è una natura morta, placida e accogliente. Uno sguardo di intesa e ci incamminiamo via, immergendoci nell’andirivieni caotico di Via Cavour. Uno sguardo di intesa e ci incamminiamo via, io e il bambino dagli occhi che luccicano.

« La parola ora a Stefania per gli ultimi numeri di oggi.»
« Grazie, Tiberio. Leggiamo ora i numeri estratti della ruota Nazionale: 44… 28… 1… 56… 6. È tutto per oggi, speriamo che sia stata una estrazione fortunata per molti. A voi la linea, studio.»
Marco

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