"Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto." (Italo Calvino)
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ARGOMENTO: [#1] Crossover (racconti)

[#1] Crossover (racconti) 01/02/2016 21:36 #16841

Il crossover è l'argomento della prima tornata di questo debuttante concorso!
Cosa significa? Beh, prendendo spunto dal mondo del cinema e della televisione, il racconto dovrà fondere tra loro due film/telefilm diversi. E' naturalmente possibile miscelare un film con una serie televisiva, o due film o ancora due telefilm...spazio alla fantasia!

Oltre a questo punto di partenza, ogni scrittore dovrà scegliere uno dei quattro temi proposti su cui ispirare il proprio racconto.
I temi tra cui scegliere sono:
- Attenti al gorilla! (da Il gorilla, De Andrè)
- E tu/E noi/E lei/Fra noi (da Pensiero stupendo, testo di Fossati)
- Siamo in missione per conto di Dio (The blues brothers)
- Gli farò un'offerta che non potrà rifiutare (Il padrino)

C'è tempo fino al 31 Marzo compreso per postare il proprio racconto in gara.

Ricordatevi che:
- Il numero di battute consentito per questa tornata è compreso tra 3.000 e 12.000 (spazi compresi, titolo escluso); potete controllare il numero esatto di battute dei vostri racconti su questo sito gratuito: CONTA BATTUTE
- I racconti devono avere un proprio titolo e devono essere postati in forma anonima, effettuando il login con nome utente Titivillus e password universi.
- Prima del racconto, oltre al titolo, va specificato il tema scelto tra i quattro disponibili.
- A fine racconto, rigorosamente all'interno di uno spoiler, l'autore dovrà indicare i titoli dei due film/telefilm scelti per comporre il racconto.
- Qui potete trovare il regolamento completo: REGOLAMENTO

RACCONTI IN GARA
- Asian squirter granma masseuse with big tits (5905)
- LA FEDE (5371)
- Il giallo dell'inetto (8710)
- Taweret (11989)
- UNBREAK (10182)
- L'incontro del secolo (11987)
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Ultima modifica: 31/03/2016 16:51 Da Lesaz.
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Re: [#1] Crossover (racconti) 04/03/2016 09:22 #17275

Tema: Attenti al gorilla
Titolo: Asian squirter granma masseuse with big tits


Randal  - Ciao Jay, come butta?
Jay - Male, male, male...non si spaccia e non si chiava. Mi faccio più seghe ora di quando avevo 12 anni.
Randal - Se vuoi ti posso aiutare, hai solo da scegliere, cosa preferisci? Negre? Vecchie? Tettone? Cazzi grossi? Scopate di gruppo? Scopate con animali? Ho “Attenti al gorilla 2, il ritorno” se vuoi, è una nuova uscita.  Scopate in solitaria? Scopate al mare? in montagna?
Jay - Ho visto un film sulle scopate in montagna, ma non mi veniva duro. Gente che chiava sulla neve! Ma come cazzo fanno? A me si ritirerebbero i coglioni e mi cadrebbe l’uccello. Ma come fai a chiavarti una fica gelata? Insomma ti vengono le ustioni da ghiaccio cazzo! E’ come chiavare un fottuto merluzzo dentro il banco frigo di un supermarket! Comunque sono troppo triste, se mi faccio una sega deve essere una sega commemorativa. Hai un film con le asiatiche?
Randal - Certo, ma cosa è successo?
Jay - Silent Bob, cazzo. Silent Bob non c’è più.
Randal -  Ma cosa  dici? Silent Bob è morto?
Jay - Peggio, molto peggio, cazzo.
Randal - L’hanno arrestato? lo sapevo, lo sapevo che prima o poi lo fottevano.
Jay - Ma che cazzo dici?
Randal - Non lo hanno arrestato? ma allora cosa gli è successo?
Jay - Allora, ascoltami bene cazzo, perché è una storia incredibile. Insomma cazzo io e Silent eravamo a lavoro...
Randal - Quale lavoro?
Jay - Insomma cazzo, eravamo al parcheggio a spacciare, è sempre un cazzo di lavoro. Ma la vuoi ascoltare la storia o mi devi interrompere per ogni fottuto motivo?
Randal - Si, dai, scusa, continua.
Jay - Insomma io e Silent Bob eravamo al parcheggio, era una giornata noiosa e io stavo leggendo “Asian Masseuse”.
Randal - Cosa?
Jay - Certo che di riviste specialistiche di settore non ne sai proprio niente! “Asian Masseuse” è una rivista su donne asiatiche che fanno massaggi. Poi c’è “Big Tits Asian”, donne asiatiche con grosse tette che fanno massaggi. Oppure “Asian Squirting”, o “ Asian granma”, c’è pure “Asian squirter granma masseuse with big tits” ma non entra mai nel dettaglio come le specialistiche.
Randal - Mi vuoi dire che ci sono tutte queste riviste solo di asiatiche? ma non sai che esiste internet?
Jay - Internet non potrà mai restituire l’odore della carta patinata, poi ognuno si fa le seghe sul supporto che preferisce...ma poi parli tu che vendi noleggi ancora videocassette cazzo! nel 2016 cazzo! blockbuster è fallito da sei  anni!
Randal - Ho capito, ho capito! ma insomma mi dici cosa è successo a Silent Bob?
Jay - Insomma eravamo al parcheggio con questa rivista di asiatiche in mano, mi accorgo che Silent Bob la guarda con un certa voglia. Cazzo, uno se ne accorge quando l’amico è arrapato e ha bisogno di farsi una sana scopata. Allora gli dico: Silent Bob, tu hai bisogno di una sana scopata con una figa asiatica, conosco io un posto, vieni con me. Così lo porto giù al quartiere cinese, sai li conosco un ragazzo, Chao, che sa dove portarti in queste occasioni. Così incontriamo Chao e gli chiedo di trovare una bella figa cinese per Silent Bob e gli mollo 5 dollari. Insomma lui mi fa un casino per i soldi, dice che sono pochi e che per questa cifra non rimediare nessuna. Ma io Gli dico cazzo sai quanta roba ti ho dato sottocosto brutto stronzo di un cinese, ma lui fa storie ma poi alla fine mi dice che sa dove potere andare. Così ci porta in una specie di seminterrato e bussa a una porticina in metallo verde. Cazzo non ce l’avessi mai portato, cazzo. Dopo cinque minuti da fuori sentiamo dei passi avvicinarsi alla porta, e una voce roca che lancia urla cinesi, Silent Bob suda, lo vedo che sta per andare via, ma io avevo già sganciato cinque dollari cazzo, così lo trattengo. La porta si apre. Cazzo Pazuzu! ti giuro era quel cazzo di Pazuzu uscito fuori dall’esorcista per fare la puttana cinese in un cazzo di scantinato. O merda, penso di non poter fare una cosa così a un amico, però penso cazzo Silent Bob si scoperà Pazuzu! Che storia! Così’ lo butto dentro e chiudo la porta. Saluto Chao e torno al parcheggio.
Randal - Cazzo, hai lasciato Silent  Bob con Pazuzu e sei andato via? E non è più tornato?
Jay - No, cazzo, il giorno dopo Silent Bob era al parcheggio. Gli faccio: grande scopata ieri no? Ma lui non ha risposto, ha iniziato a tossire, sai come quando un pelo di fica t’è rimasto in gola e non te ne puoi liberare.
Il giorno seguente lo vedo un po’ giù, cazzo ha lo sguardo assente e il colorito giallastro, e sempre quella tosse da pelo di fica in gola. Gli dico: Silent Bob non mi piace la tua cera, perché non vai da un cazzo di dottore? Ma lui farfuglia qualcosa che non capisco. Poi non lo vedo per giorni fino a che spunta al parcheggio. Cazzo è magro, piccolo e completamente giallo, quasi non lo riconosco, mi dice delle cose che non capisco, è agitato. Alla fine scappa via. Cazzo è stato un incubo ad occhi aperti ero così sconvolto che non l’ho seguito.
Passano altri giorni e non si fa vivo, così mi decido a cercarlo. A casa non c’è, neanche nei soliti posti di spaccio e nessuno lo ha più visto in giro. Alla fine mi ritrovo nel quartiere cinese e incontro Chao. Gli chiedo se ha visto di Silent Bob in giro, lui mi dice che sa dov’è. Cazzo che fortuna, gli dico di portarmi subito da lui. Così mi fa entrare nei meandri del quartiere cinese, cazzo è un casino di stradine e di vicoli. Mi fa entrare in una specie di magazzino e poi, dopo altre porte in una specie di dormitorio di merda pieno di cinesi. Cazzo non ci si può quasi muovere da quanti cinesi ci sono, tutti a fissarmi con i loro occhi a mandorla, Io
grido il nome di Silent Bob ma non ottengo nessuna risposta. Cazzo si soffoca la dentro. I cinesi sono tutti a petto nudo, chi cucina il riso, chi fuma. E’ un gran casino, E non trovo Silent Bob. Arrivato al fondo della stanza sono disperato,  mi giro e grido a Chao: ma dove cazzo è Silent Bob?
“Adesso è uno di loro,” mi risponde Chao. “Adesso è uno di noi.”


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Re: [#1] Crossover (racconti) 06/03/2016 13:16 #17282

LA FEDE
Tema: Siamo in missione per conto di Dio

Due uomini entrarono nel locale. Pareva avessero fretta. Uno dei due era bianco in volto e si guardò intorno spasmodicamente. L'interno era debolmente illuminato nonostante l'ora pomeridiana. Le vetrate scure e i pochi avventori creavano un ambiente poco accogliente. Ma questo non importava. Il posto non fu scelto a caso. E poi la vide. Una luce tenue al muro a evidenziare una porta.
“Eccolo finalmente!” e si fiondò nella direzione.
L'altro stette in piedi fermo e sbraitò come se fossero soli.
“Te l'avevo detto di non mangiarti tutti quei tacos. Ora cerca di non rendere quel cesso come un angolo dell'inferno. E muoviti, non abbiamo tempo da perdere!”
Il rimprovero non fu nemmeno ascoltato dal primo. Si era già rintanato al sicuro ad evacuare. JB invece fu soddisfatto della propria esternazione e con una smorfia compiaciuta si guardò meglio intorno. Quattro tavoli, solo uno occupato da due uomini, un tavolo da biliardo, un televisore acceso su una mensola al muro, al bancone una bionda girata di spalle.
Lei era totalmente fuori luogo. Piccolina, con due lunghe code laterali, un vestitino corto bianco che metteva in risalto le gambe lisce. Beveva dalla cannuccia un intruglio colorato e non si curava del mondo intorno.
“Oh, un po' di fica qui!”.
JB si diresse al bancone e sedendosi sullo sgabello a fianco con un balzo, si presentò alla bionda alla sua maniera.
“Ciao baby. Che ci fa qui una ragazza tutta sola?”
La ragazza si girò e gli sorrise amichevolmente.
“Ciao! Cercavo un posticino per stare un po' da sola. Cioè, non intendevo dire che sei di troppo! Ma sai, le mie amiche certe volte son un po' pressanti. E così ho bisogno di prendere un po' d'aria. Ma fuori fa un caldo incredibile! Non pensavo che Los Angeles fosse così afosa. Da dove vengo io piove sempre... E poi entro in questo locale e non hanno nemmeno delle fragole per un bel frullato. Ho dovuto ordinare un succo di frutta da discount. Te invece? Che mi racconti d'interessante?”.
Un turbine di parole. Eruttò tutto gesticolando incessantemente. Una vocina acuta ma non fastidiosa. Ma soprattutto un viso angelico che colpì JB lasciandolo inizialmente senza parole.
“Mio dio! Ma quanto parli?! Riesci a respirare tra una frase e l'altra?
Beh, io son qui di passaggio con un mio amico. Sai, abbiamo affari, progetti, non ci crederesti mai! Non siamo quel tipo di uomini che perdono tempo bevendo birra in un locale alle due del pomeriggio.”
Gli occhi dei due seduti al tavolo si alzarono con sguardo malevolo. JB non se ne curò e cominciò a ridere sguaiatamente mettendo in mostra la mascella da scimmione.
“Ma come sei carino!” miagolò la biondina inclinando la testa sulla propria spalla. “Dai, dimmi tutto! Io vedo sempre le stesse cose...”
I pensieri di JB erano chiari e lampanti, gli occhi brillavano di una luce penetrante e la tipica smorfia si ampliava.
“Si dà il caso che siamo in missione per conto di Dio. Oh no, non son di certo uno di quei tipi religiosi strani. Sono un artista, un fottuto cazzutissimo rocker!”.
Le ultime parole urlate furono accompagnate dalla mano con indice e mignolo alzati.
Lei lo guardò con occhi stralunati. “Ma davvero?! Anch'io canto. Siamo qui in tournée e ci esibiamo domani sera! Vieni a sentirci? Anzi, ti va di uscire con me ora? Potremmo divertirci aspettando il concerto! Aspetta solo un attimo che mi sistemo”.
La bionda si allungò e diede un candido bacio sulla guancia di JB, poi prese la sua borsetta e si diresse verso la toilette.
JB quasi nemmeno si accorse che in quel momento stava uscendo il suo amico. La seguì con lo sguardo finché la porta non si chiuse completamente.
“Ho fatto! Dai andiamo!”.
“Ma scherzi? L'hai vista quella fica! Me la vuole dare! Non posso perdere un'occasione del genere. Ma l'hai guardata? E' un angelo sceso dal cielo”.
“Quella non ci sta con te nemmeno se la paghi. E comunque muoviti, abbiamo cose più importanti da fare”.
“Parla quello che ha voluto a tutti i costi fermarsi al furgone del messicano. E che avrà ridotto il cesso in una camera asfissiante. Mia povera baby, chissà le pene che stai soffrendo in questo momento!”.
“Dai deficiente, dobbiamo andare al museo!”.
JB si girò di scatto. “Senti, mi devi almeno due ore...”. Le parole si fermarono improvvisamente. L'audio della TV emetteva una canzonetta smielata mentre il giornalista leggeva le ultime notizie del TG. Lo schermo mostrava il video di cinque ragazze su un palco, davanti a una folla immensa. E in mezzo c'era la sua baby.
“Ma che cazz...”
Nello stesso momento la bionda uscì. Avanzava con lo stesso sguardo angelico e il passo sicuro. JB invece la osservava quasi con timore. Indietreggiò di mezzo passo e con la mano avvertì qualcosa. Appena lei entrò a portata, JB alzò la stecca da biliardo e gliela spaccò in fronte, mandandola a terra priva di sensi e sanguinante.
Mentre il barista e gli uomini accorrevano in soccorso, JB si inginocchiò a terra e con gli occhi verso l'alto urlò “Non sono caduto in tentazione! Ho perso la scopata del secolo! Ma la mia fede in te mai vacillerà, mio Ronnie James!”.
KG strattonò l'amico e lo tirò verso l'uscita del locale.
“Ma sei completamente rincretinito? Scappiamo prima che arrivi la polizia!”.
Quella sera un bambino raccontò alla madre di aver visto due ciccioni correre sotto il sole cocente pomeridiano, mentre uno dei due urlava ripetutamente “Dio uno, Satana zero!”.

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Re: [#1] Crossover (racconti) 16/03/2016 00:05 #17373

Tema: Attenti al gorilla
Titolo: Il giallo dell'inetto


Erano passate poco più di quattro ore quando risultò evidente a tutti i passeggeri che quel volo privato stava avendo dei problemi.
L’attore Troy McLure, il reverendo Timothy Lovejoy e l’inetto Homer J. Simpson stavano viaggiando assieme a Richard O’Hara (meglio noto come “The Rich Texan”) sul suo aereo privato, direzione Nuova Zelanda.
Perché?
I personaggi de “I Simpsons” non hanno bisogno di un perché per spostarsi.

Come anticipato, l’aereo aveva cominciato ad avere dei problemi. Così, come nel più classico degli episodi di “Incidenti ad alta quota”, si aprì uno squarcio fino a che lo stesso non planò tuffandosi nel mezzo nell’oceano pacifico.

Troy Mclure morì sul colpo così come morì il pilota anonimo del velivolo.
Il texano, il reverendo ed Homer invece invece a sopravvivere ed a ritrovarsi di lì a poco su un gommone gonfiabile d’emergenza.
Salirono sopra, non senza difficoltà. Con tutta quell’adrenalina dislocata in corpo, ci volle del tempo prima che i tre caddero tra le braccia di Morfeo.
Alle prime luci dell’alba, il reverendo s’accorse d’essere vicinissimi ad un’isola.
Svegliò i compagni, Homer tentò di baciarlo convinto fosse la moglie; poi presero atto della situazione e cominciarono a sbracciare in mare per raggiungere la spiaggia.

A prima vista l’isola si presentava rigogliosa ma priva di altri esseri. Tutt’intorno non v’era traccia di altre imbarcazioni né di altre isole più o meno visibili a occhio nudo.
Cominciarono a chiacchierare sul da farsi.

Rich era convinto che i suoi familiari già si fossero adoperati per rintracciarlo. Poi, in cuor suo, dubitò di questa sua sicurezza. In fondo, se lui fosse morto, l’eredità sarebbe spettata a tutti coloro che avrebbero dovuto cercarlo. Si rabbuiò senza dare troppo nell’occhio.
Il reverendo dapprima la buttò sulla fede convinto che la clemenza del Signore li avrebbe salvati. Poi, con il passare della giornata, cominciò a farsi anch’essi sempre più triste visto che niente e nessuno s’era fatto vivo da più di dieci ore almeno.
Homer riuscì a resistere meno di un’ora prima di cominciare a mangiare tutto ciò che passasse sotto le sue mani.
Nonostante le raccomandazioni degli altri due circa la possibilità di ingerire qualcosa di velenoso lui se ne beò bellamente. E non morì. Perché l’inetto Homer ha dalla sua una delle caratteristiche peculiari per un essere semi-vivente. La fortuna del protagonista. Ed il protagonista, nelle serie, è l’unico che non può e non deve morire.

Passò il primo giorno e con esso anche la prima notte.
I tre costruirono alcuni rifugi rialzati, giusto per non dormire sulla spiaggia. Quello di Homer si ruppe dopo pochi minuti. S’addormentò sulla spiaggia con un sasso a far lui da cuscino ed un rivolo di saliva a corollario del quadretto.

Passò il secondo giorno e con esso anche la seconda notte.
Passò il terzo giorno e con esso anche la terza notte.
Quando passò il settimo giorno e con esso anche la settima notte, Tim, Rich & Homer presero finalmente atto della verità. Erano soli, sperduti su di un’isola deserta a cibarsi di cocchi e poc’altro cibo commestibile che offriva loro quella landa paradisiacamente desolata e se non si fossero mossi a breve sarebbero morti di stenti perché la dieta a base di quello che si trova non era poi così bilanciata e naturale.

Decisero di accendere un fuoco.
Detto, fatto, il fuoco fu acceso.
La figata di scegliere questi personaggi è che ti puoi permettere anche questo lusso della semplificazione.

Mancava solo un sistema per avere acqua potabile. Ma, soprattutto, per produrre della birra Duff. Homer era talmente in astinenza che avrebbe venduto l’anima al diavolo pur di poter bene una birra.
Detto, fatto, il diavolo fece la propria comparsa pronto a comprarsi l’anima di Homer. Poi, una volta consultato il libro, s’accorse d’averci già provato in un’altra puntata e disertò l’impresa che sarebbe stata del tutto inutile.

Al quindicesimo giorno, l’equilibrio del gruppo era totalmente deteriorato. Avevano cominciato a guardarsi in cagnesco l’un l’altro convinti che ognuno tramasse contro gli altri per tentare la sopravvivenza in solitaria. Era un ragionamento privo di fondamento reale ma, vista la situazione, era anche l’unica spinta emotiva affinché il loro cervello continuasse a restare vigile.

Tra tutti, quello più a suo agio era proprio Homer nonostante la forzata astinenza dai vizi. La fortuna dell’inetto e la sua proverbiale spensieratezza lo avevano reso molto lucido e con una istintiva e primordiale voglia di sopravvivere e tornare a casa.
Prese la leadership del gruppo ed i due, forse provati dalla condizione ormai misera nella quale erano costretti a sopravvivere, gli fecero fare senza opporsi.
Homer si dimostrò al tempo stesso stravagante ed infaticabile. Una volta caricato di questa nuova responsabilità stabilì tutta una serie di nuovi principi e regole da rispettare ma, soprattutto durante il sonno dei compagni, si dedicò alla costruzione grazie al dono della telecinesi acquisito per caso durante uno dei suoi pranzi di cose a caso che pullulavano lì sull’isola.
Quando a distanza di quindici giorni (ossia a un mese dal loro naufragio) presentò ai compagni la nuova costruzione, i due rimasero completamente basiti.
Utilizzando tutti materiali naturali ed una serie di accessori regalati dal mare aveva costruito una vera e propria fortezza dall’aspetto accogliente ed inespugnabile. Non solo. Aveva progettato un vero e proprio frutteto e persino una fontana al centro della costruzione dove regnava il fuoco.

Si autoproclamò Principe assoluto di quel Regno, nominò il reverendo come Ministro della fede ed il texano come Ministro delle risorse dell’isola. L'unica suddivisione dei compiti che si erano dati era quella di badare al fuoco e di fare i turni per la pesca, la raccolta e quant'altro potesse servire ad un'esistenza quanto più umana possibile.

Quattro anni dopo circa


Grazie a quel dono, Homer riuscì finalmente a farsi notare. Non solo da quella piccola comunità ma, soprattutto, al passaggio di una grossa imbarcazione. Sollevo quanto più possibile una specie di costruzione di legno riportante la scritta “SOS”. La nave s’avvicinò all’isola e prese atto dei tre naufraghi ancora vivi e, seppur un po' deperiti, non in pericolo di vita.

Al ritorno a casa, nulla sembrò cambiato né per Rich che tornò ai suoi opulenti business né per Tim che ritrovò la moglie e con essa la fede nel Signore che l’aveva, a suo dire, salvato da quella potenziale tragedia. Gridò al miracolo raccontando di come su Homer fosse sceso lo spirito del Signore a guidarlo nelle sue scelte.

Non fu lo stesso per il protagonista giallo. La moglie era stata insidiata dopo due anni da Boe ed essendo lei ormai più che convinta che il marito fosse definitivamente morto cedette alle lusinghe del barista anche e soprattutto perché sentiva la necessità di dare un padre ai propri pargoli. Tutte cose già viste in precedenti puntate, niente di nuovo insomma.

Homer non accettò di buon grado la cosa ed anziché reagire con lo scopo di riconquistare la moglie si perse nuovamente dentro l’alcool finendo per ritornare l’inetto del principio e perdendo anche il controllo di quel super-potere gestito fino a quel momento.
A sei mesi dal loro ritorno, al funerale di commemorazione di Troy McLure e del pilota anonimo, in più di un abitante di Springfield aveva ormai messo in dubbio la versione dei fatti. Era impossibile che proprio quell’Homer avesse in qualche modo potuto salvare la vita agli altri due. Doveva essere stato un colpo di fortuna o, tuttalpiù, un’incredibile serie d’eventi imprevisti. O forse veramente lo spirito del Signore come raccontava il sempre più convinto Reverendo.

Homer, al termine della liturgia, fu preso da una rabbia cieca. Probabilmente il residuo del vecchio potere tramutò questa sua rabbia in qualcosa di oscuro e mistico. Da giallo cominciò a diventare grigio e peloso fino a trasformarsi in quel che si può tranquillamente definire una copia cinese di King Kong.

Giusto per deliziare la banalità decise di rapire il giorno successivo la ex moglie Marge.
Detto, fatto.
Il giorno successivo, Homer il King Kong cinese, era penzoloni lungo il grattacielo della Springfield bene circondato da elicotteri e carri armati convinto di poter finalmente riconquistare la moglie così facendo. Ci provarono in tutti i modi a farlo scendere, sia con la birra, che con le banane. Provarono anche le ciambelle ma nulla riuscì a farlo desistere da quell'azione.
Per Marge fu il più bel gesto d'amore mai fatto da chicchessia e decise di ritornare indietro.

Detto, fatto, così fu.

Nella puntata successiva tutto ritornò alla normalità, come se niente potesse davvero cambiare.

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Ultima modifica: 16/03/2016 00:08 Da Titivillus.
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Re: [#1] Crossover (racconti) 16/03/2016 19:23 #17375

Titolo: Taweret
Tema: Siamo in missione per conto di Dio

Clara trotterellò fino alla porta spalancandola con entusiasmo. I suoi grandi occhi nocciola si immersero in una fitta vegetazione tanto maestosa quanto inaspettata. Perplessa, si voltò verso l’interno della cabina blu in direzione del compagno di viaggio. “Dove siamo?”
Immerso nei propri pensieri, l’uomo si muoveva tarantolato attorno alla console dei comandi posta al centro del locale. Senza alzare gli occhi dal monitor percepì lo sguardo dell’amica a cui rispose continuando a premere pulsanti: “Abbiamo fatto una piccola deviazione.”
Clara pensò a quella che sarebbe dovuta essere la destinazione del loro viaggio sfiorando istintivamente uno dei nastri che le adornavano l’elaborata acconciatura. Aveva impiegato diverse ore nel prepararsi e le sarebbe dispiaciuto che quel tempo risultasse sprecato. Imbronciata, non nascose la delusione: “Perché questo trabiccolo non ci porta mai dove dovrebbe?”
“Trabiccolo? È un’astronave e macchina del tempo! Non parlare così al mio Tardis!
“Ci siamo persi vero?”
La provocazione non cadde nel vuoto e l’uomo guardò finalmente in direzione dell’amica. “Io sono il Dottore, un Signore del Tempo, provengo dal pianeta Gallifrey nella costellazione di Kasterborous, viaggio nel tempo e nello spazio da oltre mille anni! Io non mi perdo!” E dopo l’energico monologo aggiunse: “Ma come ti sei vestita? Un abito lungo di velluto bordeaux ti sembra adatto ad una giungla?”
“Giungla? Mi avevi promesso la Milano del 1485!” Clara assunse un’espressione maliziosa prima di continuare: “Ho scelto questo vestito per gli splendidi ricami dorati e la scollatura quadrata. Non mi dona? Sono certa che Leonardo Da Vinci avrebbe apprezzato! Magari mi avrebbe scelta come soggetto di un suo dipinto!”
“Mia cara, per farti ritrarre da Leonardo ti dovresti per prima cosa procurare un mustelide… poi un decollete più abbondante! Anzi, prima il decollete e poi il mustelide!”
Vinta la contesa verbale, il Dottore estrasse dalla tasca interna della giacca il suo inseparabile strumento. L’arnese venne puntato in direzione dei comandi emettendo un ronzio e illuminandosi all’estremità di un intenso verde smeraldo. L’operazione non durò che pochi istanti, passati i quali il Dottore si diresse soddisfatto verso l’uscita: “Ho programmato il cacciavite sonico, sbrighiamoci!”
All’aperto i due vennero avvolti da una natura apparentemente incontaminata e Clara, pur contagiata dall’eccitazione del compagno per la nuova avventura, si sentì come una viandante cieca: “Vuoi dirmi cosa sta succedendo?”
“Sono già stato qui in passato. Donai un congegno da usare in caso di pericolo e ora il Tardis ha intercettato la richiesta d’aiuto.” Spiegò il Dottore aggiungendo: “Sono stati attivato i protocolli di sicurezza. Dobbiamo risolvere il problema e spegnere lo strumento altrimenti il Tardis resterà bloccato in questo luogo e tempo per l’eternità.”
L’espressione della ragazza si tramutò in una smorfia carica d’ansia: “Ma dove siamo?”
Il Dottore inspirò profondamente e assaggiò l’aria come un sommelier farebbe con un calice di vino. Ammiccò al fine di rassicurare l’amica: “Siamo sulla Terra, il 22 settembre 2004.” Come un ballerino, iniziò a piroettare agitando il cacciavite finché il suono si fece più acuto indicando la direzione da percorrere. “Andiamo da Taweret!”
Nonostante i molti misteri, sul volto della ragazza tornò il sereno e la coppia si mise in marcia facendosi strada tra l’impervia vegetazione. Clara malediva il vestito lungo che le impacciava i movimenti invece il Dottore si destreggiava abilmente tra un boschetto di bambù e una pianta di plumeria. Nell’aria si faceva ogni passo più inconfondibile l’odore del mare mentre il Dottore si fermò dinnanzi ad uno stravagante albero: “Guarda Clara, un banyan!”
La ragazza osservò una folta chioma che sovrastava quello che le parve un massiccio fusto centrale attorniato da esemplari più giovani. Guardando con più attenzione notò come i tronchi non fossero separati tra loro bensì connessi da una fitta serie di rami protesi in ogni direzione. Rami da cui penzolavano numerose liane. Il Dottore seguì lo sguardo dell’amica: “Sono radici aeree che crescono lentamente verso il basso. Giunte al suolo vi penetrano diventando dei veri e propri fusti con la funzione di sostegno e di espansione orizzontale della branca.” Il Dottore pensò a come quell’albero rappresentasse la sua vita, con i tanti compagni di viaggio a sostenerlo ed espanderlo come quelle radici aeree. “Secondo un antico mito indiano, la principessa Savitri riuscì a battere in astuzia Yama, Dio delle tenebre, riottenendo la vita del defunto marito proprio all’ombra di un banyan. Ancora oggi molti villaggi dell’India rurale usano quest’albero come punto di ritrovo.”
“Allora ho scelto il posto perfetto dove incontrarvi!”
Clara e il Dottore si voltarono di scatto verso la voce inaspettata. “Mi chiamo Jacob.” Si presentò l’uomo biondo vestito con un’umile tunica bianca e dei pantaloni marroni: “E’ un piacere conoscervi!”
Il Dottore squadrò il nuovo interlocutore: “Suppongo che sia tu ad aver attivato il segnale, sei il custode di Taweret vero? Cosa vuoi da noi?”
“Si sono io.” Ammise Jacob sorpreso dalla perspicacia del Dottore. Decise che sarebbe stato inutile tergiversare con un individuo di tale intelletto così andò dritto al punto: “Questo luogo è minacciato da un’oscura creatura frutto di un mio imperdonabile errore, un istante di collera che non ho saputo controllare. Dopo aver vagliato ogni alternativa, ho progettato un piano per eliminarlo e quindi salvare questo posto.” L’uomo fece una breve pausa prima di proseguire: “Sarà un cammino lungo e ricco di insidie che sono pronto ad affrontare ma ho bisogno del tuo aiuto per compiere il primo passo.”
Spiegò al Dottore ciò che aveva in serbo per lui, conscio di chiedere molto, forse troppo. “Ora sta a te decidere, io rispetterò la tua scelta, qualsiasi essa sia!”
Concluse guardando verso il cielo, copiato di riflesso da Clara e dal Dottore che si persero nell’azzurro sopra le loro teste. Fu solo un attimo di distrazione colto da Jacob per congedarsi svanendo nel nulla.
“Bel trucco!” Ironizzò il Dottore cercando di esorcizzare la richiesta appena ricevuta. Clara capì il momento e si comportò come un banyan posandogli con dolcezza la mano sulla spalla: “Non so cosa deciderai ma io sarò al tuo fianco sostenendoti in ogni caso!”
“Devo fidarmi di Jacob facendomi carico delle conseguenze oppure disattendere un’antica promessa? Avrò perso in ogni caso!”
“Di quale promessa parli? E mi vuoi dire chi è Taweret?”
Clara meritava delle risposte e, ripreso il cammino, il Dottore iniziò dal principio: “Potresti conoscerla come la Dea egizia protettrice delle donne incinte e dei bambini ma in realtà era la principessa di un lontano pianeta. Durante la guerra portai lei e altri giovani membri della casata regnante sulla Terra per proteggerli dal conflitto. Grazie ai loro poteri e al loro aspetto metà umano e metà animale, vennero eretti a divinità dagli sprovveduti egiziani dell’epoca. Solo Taweret, corpo di donna e testa d’ippopotamo, abbandonò l’opulenza ritirandosi in questo luogo sperduto. Non sopportava l’idea di oziare mentre i suoi sudditi morivano in battaglia così creò un rifugio speciale dove fuse scienza, magia e natura. Se ne affezionò a tal punto che, al momento di tornare a casa, io riuscii a convincerla solo con una promessa. Giurai che avrei vegliato su questo luogo in sua vece. Le donai un dispositivo in grado di inviare un segnale al Tardis in caso di bisogno. Lei nominò un custode che dotò di poteri e conoscenze tra cui quella dell’apparecchio.” I due arrivarono finalmente alla spiaggia. “Jacob è l’attuale custode ed è stato lui ad attivare la richiesta d’aiuto.” Il Dottore fece un cenno col capo: “Eccoci! Lo strumento da spegnere è custodito in quel che rimane della statua dedicata a Taweret.”
Videro a poca distanza un enorme piede di pietra con quattro dita sopra il quale solo caviglia e parte del polpaccio erano sopravvissuti. Cercarono di immaginare la maestosità originale dell’opera ma vennero distratti da una serie di fragorosi boati provenienti dalla giungla. Scorsero una gigantesca nuvola di fumo nero che, accompagnata da un rombo metallico, si dirigeva nella loro direzione.
“Suppongo sia l’oscura creatura a cui si riferiva Jacob, vero Dottore?”
“Clara…”
“Si Dottore?”
“Corri!”
I due si lanciarono verso la statua inseguiti dall’enorme mostro. Il Dottore vagliò in una frazione di secondo ogni possibilità e progettò il piano: “Vai al basamento, sul fondo del lato ovest è situata una pietra cava identificabile da un geroglifico che raffigura Taweret. Lì si trova il congegno, recuperalo e inserisci il codice di sicurezza.” La ragazza obbedì continuando la corsa mentre il Dottore si fermò puntando il cacciavite sonico in direzione della nuvola di fumo. Il mostro colmava la distanza rapidamente facendosi sempre più vicino e minaccioso. Quando ormai sembrò tardi, il cacciavite cambiò suono trovando la frequenza corretta. La creatura si bloccò a non più di un palmo dal viso del Dottore come davanti un’invisibile barriera.
“Non ho idea di quanto possa resistere, sbrigati Clara!”
La ragazza non aveva perso tempo nonostante l’abito ingombrante e si trovava già in prossimità della parete che esaminò rapidamente. Riconobbe la pietra essendo l’unica raffigurante una donna con volto d’ippopotamo e recuperò l’oggetto al suo interno. Il dispositivo aveva un aspetto molto essenziale, una sorta di piccola scatola metallica con un tastierino numerico e uno schermo. Per un istante rimase impalata, insicura sul da farsi: “E ora? Qual è il codice di sicurezza?” Il Dottore dettò la combinazione che Clara digitò prontamente: “4-8-15-16-23-42.” Appena diede conferma, la terra iniziò a tremare terrorizzando la ragazza: “Ho sbagliato qualcosa?”
Il Dottore la tranquillizzò: “No Clara, non è colpa tua, se ricordo bene qualcun altro non ha premuto un bottone… ma non è importante ora!” La pressione del mostro si faceva sempre più intensa e la schermatura sembrava sul punto di cedere. “Vieni qui!”
La ragazza non se lo fece ripetere e raggiunse il Dottore in un baleno. I due fissarono quella creatura che sembrò contraccambiare. Per un interminabile secondo percepirono un’intensa oscurità, una malvagità quasi tangibile. Poi la barriera cedette. Clara e il Dottore chiusero d’istinto gli occhi aspettandosi il peggio. Che però non accadde.
Clara si ritrovò come per magia all’interno del Tardis, confusa chiese: “Cos’è successo?”
Il Dottore, già lanciato verso la console dei comandi, spiegò: “Inserendo il codice hai sbloccato il Tardis che ha percepito il pericolo ed è giunto in nostro soccorso!”
Al sicuro, Clara ripensò alla richiesta di Jacob: “Ora cosa farai?”
Il tempo stringeva e le opzioni mancavano, il Dottore si arrese ad un’altra scelta difficile con la quale avrebbe dovuto convivere. Azionò una serie di leve: “Reggiti forte Clara!”
Il Tardis prese quota, diventò invisibile e virò bruscamente, la cabina blu andò ad impattare con violenza contro un oggetto di grosse dimensioni. Clara capì e, dopo la collisione, cercò di mitigare il dolore dell’amico stringendolo tra le braccia. Il Dottore, solitamente refrattario agli abbracci, apprezzò il gesto e cercò l’aspetto positivo: “Ho fatto ciò che ha chiesto Jacob mantenendo la mia promessa a Taweret, questo posto è al sicuro!”
“Come fai ad esserne certo?”
“Ti ho detto di essere già stato qui vero?”
La ragazza annuì e il Dottore continuò: “Si, l’ho fatto in passato… Ma non solo nel passato! Ho visto come andrà a finire, dopotutto sono un Signore del Tempo!”
Clara sorrise e il Dottore concluse col bisogno di una nuova avventura per voltare pagina: “Ora andiamo da Leonardo!”
Il Tardis sfrecciò via incolume, non come l’oggetto contro cui aveva impattato. Il boeing 777 volo 815 della Oceanic Airlines si era spezzato in tre parti che, tra fumo e fiamme, stavano precipitando sull’isola per l’inizio di un’altra storia.
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Re: [#1] Crossover (racconti) 31/03/2016 15:28 #17496

Titolo: UNBREAK

Il sole entrò dalla fessura sul tetto svegliando Micheal. Come ogni mattina, si girò verso il giaciglio vuoto di suo fratello. Da quando Lincoln era stato rapito, non aveva fatto altro che tormentarsi, incolpandosi dell’accaduto. Smaltito il tepore mattutino, Micheal uscì dalla tenda e fu molto felice di vedere che tutti gli altri si erano già messi al lavoro senza di lui. Neanche il tempo di fare due passi, però , che già il sorriso era sparito dal suo volto. Quel giorno gli spettava la concimazione, quindi prese la vanga e spazzò via i suoi pensieri a forza di sudore.
La sera, tornato alla tenda, non riusciva a fare a meno di pensare a quello che era successo a suo fratello. L’uscita , l’agguato, la sua paura, gli occhi accusatori degli altri. Gli occhi accusatori, gli occhi accusatori…finchè non cadde esausto sul letto.
La mattina seguente Micheal di risvegliò con una flebile luce che brillava nei suoi occhi. Chiese a Fernando e Tony, i suoi compagni di lavoro, di vedersi la sera stessa nella sua tenda. Non nutrivano chissà quale fiducia nei confronti di Micheal, ma perché mai rifiutare? Cosa sarebbe mai potuto succedere.

“Ebbene, signori, ho un piano!” esordì Micheal.
“Un Piano? Per cosa?” rispose Fernando.
“Per liberare mio fratello Lincoln, mi pare ovvio”
Seguirono alcuni secondi di silenzio, rotto poi da Tony.
“Micheal, tutti rivorremmo Lincoln qui con noi, ma ragiona per un secondo!”
“Sì infatti, Micheal, ragiona! I Nativi sono in numero elevato e, cosa da non sottovalutare, sono armati. Come pensi che potremmo , noi tre, intrometterci nelle loro segrete, liberare Lincoln e andarcene?” disse Fernando.
“Non ci sarà bisogno di fare niente di tutto ciò, signori. Ci faremo catturare e lo libereremo dall’interno.”
Fernando e Tony si guardarono per un secondo, poi scoppiarono in una risata fragorosa. Pensavano che Micheal fosse impazzito o che avesse riportato qualche trauma a lavoro.
“E’ la nostra occasione, avete capito? E’ la nostra occasione per riportare finalmente a casa Lincoln!”.
I due videro , per la prima volta, la luce negli occhi di Micheal. I loro sorrisi si trasformarono in espressioni serie.
“Spiegaci il piano, allora.”
Micheal sorrise, tirò fuori dalla borsa un foglio di carta annerito.
“Signori, avete davanti la mappa delle segrete dei Nativi. La ho recuperata da uno dei loro cadaveri, dopo la grande battaglia delle Piane Nere.”
Tony ci buttò lo sguardo. La mappa era incomprensibile, evidentemente Micheal doveva essere davvero impazzito.
“Ma è illeggibile, Mike!” disse.
“Non dire sciocchezze, guarda bene”
La piegò in un modo strano, e quelle che sembravano file indistinte di linee divennero una mappa vera e propria.
Non seppero cosa dire.
“Partiamo domani all’alba,portate solamente dei piccoli utensili che potranno servirci.”

Il cammino procedeva spedito. La compagnia cercava di fare più rumore possibile senza destare sospetti. Accesero un fuoco e cominciarono a parlare di argomenti di vario genere. Ad un certo punto, nel cuore della notte, sentirono un rumore. Micheal vide accasciarsi i suoi due compagni, e prima di accorgersi di quello che succedeva perse i sensi.

Si risvegliarono in una cella angusta, illuminata solamente da qualche fiaccola sul muro del corridoio. Erano seminudi, derubati di tutto e in gabbia. Ma ce l’avevano fatta, avevano raggiunto le segrete.
“La mappa, non abbiamo più la mappa” sussurrò Tony.
“Tranquillo, l’ho memorizzata, non è questo il nostro problema. Penso che prima di fare qualsiasi mossa dovremmo studiare un po’ l’ambiente, per capire cosa fare.”
Micheal sporse la testa oltre le grate di ferro arrugginito.
“Siamo nella sesta cella a destra dopo la porta”
“E quindi?”
“Quindi dobbiamo assolutamente raggiungere la quarta. Da lì, sfondando un paio di mattoni, c’è un accesso sicuro al sistema fognario.”
“E sentiamo, genio, come pensi di arrivarci?
“Ho un piano, tranquillo”
“Allora mettilo in pratica”
“Non ora, ho detto che è meglio studiare la situazione.”

Nei giorni a seguire, Micheal memorizzò tutti i volti, i movimenti e i turni delle guardie. Nelle segrete ce n’era una sola. Lo chiamavano il gorilla, e guardandolo si poteva tranquillamente capire perché. Alto almeno 1 metro e 90, muscoloso, e col petto peloso. Aveva una forza sovrumana, i detenuti parlavano spesso di quanto fosse incline a fracassare le teste di quelli che lo infastidivano.
La notte erano sorvegliati da un secondino mingherlino, con gli occhi scavati dalla mancanza di sonno. Non avevano mai possibilità di uscire, né di interagire con persone che non fossero i loro diretti vicini di cella.
Una notte però, Micheal fu svegliato da un urlo. La porta delle segrete si aprì e comparve il gorilla con in braccio suo fratello Lincoln, visibilmente denutrito e pieno di lividi e sangue. Si alzò un brusio generale. Il prigioniero che stava nella cella di fronte a Micheal, vedendolo turbato, si rivolse a lui.
“Lo conosci?”
“E’ mio fratello”
“Lo torturano da giorni, ma lui non parla.”
“Per cosa?”
“Per gusto, forse, o per informazioni.”
“Quali informazioni potrà mai avere?”
“Non lo so, ma forse ti conviene non dire a tutti di essere suo fratello.”

La mattina seguente la giornata iniziò con la solita ronda dei secondini. Proprio mentre il gorilla passava davanti alla loro cella, Micheal tirò un pugno abbastanza violento in faccia a Tony, rompendogli il setto nasale. Non capendo quello che succedeva, Tony rispose all’offesa a sua volta.
Il gorilla aprì la cella per sedare la rissa e tirò fuori Micheal con la forza. Dopo avergli assestato qualche cazzotto sui reni, lo prese per i capelli e lo portò in un altra cella, con la promessa di ucciderlo se avesse combinato altri guai. La quarta a destra.
Ce l’aveva fatta, ora non gli rimaneva che sfondare i mattoni e avrebbe portato in salvo suo fratello.

Nella sua nuova sistemazione, Lincoln era più vicino , due o tre celle di distanza , anche se non riusciva a vederlo.
“Linc!” sussurrò.
Nessuna risposta.
“Linc! Sveglia Linc!”
Ancora nessuna risposta. Pensò che evidentemente doveva essere esausto per le torture.
“Linc!” riprovò.
“Mike?” disse una voce flebile.
“Sono io, sono Mike. Ti tirerò fuori da questo posto.”
“Come? Non ce ne andremo mai vivi da qui”
“Speranza, speranza, Linc!”
Non ricevette risposta, Lincoln era crollato in un sonno profondo.

Micheal cominciò a pensare ad un metodo per bucare il muro senza essere visto. Trovò un vecchio chiodo spuntato, forse del suo letto ballerino. Iniziò a graffiare il calcestruzzo, che piano piano si sgretolava e lasciava un solco tra i mattoni. Se non avesse dovuto prestare attenzione ai secondini avrebbe finito nel giro di poche ore.
In 3 notti aveva già scavato una bella porzione di mattone, e secondo i suoi calcoli, con quel ritmo, nel giro di una settimana sarebbe riuscito a smuovere il primo blocco. Il suo piano era di scavare di notte e nascondere i resti della lavorazione sotto il materasso.
Una notte però, mentre lentamente lavorava, il suo vicino di cella ebbe la brillante idea di iniziare ad urlare, preso dai morsi della fame e della sete. Il secondino si avvicinò a lui e venne aggredito, tanto che tirò fuori il fischietto ed emise uno squillo assordante. Dal fondo delle segrete si sentì la porta spalancarsi e davanti alla sua cella comparve, con la solita aria punitrice, il gorilla. L’omone non fece in tempo a rivolgere la torcia contro la cella di Micheal che notò la fuliggine causata dallo scavo. Entrò precipitosamente nella cella ed assestò un violento falcione contro il muro, dal quale si aprì una voragine che avrebbe tranquillamente permesso ad un uomo di passare.
“Vogliamo scappare, eh?” disse il gorilla, agitando il manganello.
Non ebbe tempo di controbattere, fu colpito alla tempia e stramazzò al suolo.

Si risvegliò in una stanza illuminata a giorno da decine di fiaccole. Era legato ad un tavolo con le ruote, quasi nudo ad eccezione di un paio di mutande. Per ore non non sentì neanche un rumore, ma non riusciva neanche a pensare. Era sopraffatto dalla paura.
Dopo molto silenzio, sentì aprirsi una porta cigolante dietro di se. Con la coda dell’occhio scorse il gorilla con in mano una valigetta.
“Cosa vuoi farmi?”
Posò la valigetta su un sedia e la aprì. Micheal iniziò a sudare freddo, e invece il gorilla tirò fuori una focaccia col formaggio ed iniziò a mangiarla.
“Io non ti farò niente, sei qui in attesa di essere giudicato.”
“Giudicato? Per cosa?”
“Per aver cercato di scappare, ovvio”
“Qual è la pena?”
Il gorilla strappò l’ultimo morso e se ne andò ridendo.

Tornò qualche ora dopo con una tunica pulita, e scortò Micheal verso quello che doveva essere il tribunale. Un ammasso di sedie di fronte ad una scrivania annerita. Vi era seduto un uomo tarchiato, avanti con l’età e senza denti.
Fu condotto in una gabbia a destra della stanza, nella quale vi erano altri sei o sette prigionieri. Tra di loro, Micheal riconobbe, ormai quasi distrutto, suo fratello.
“Non saresti dovuto venire, Mike”
“Sono venuto per liberarti…io…sono venuto per te”

Proprio in quel momento il gorilla entrò nella cella e prese tutti i prigionieri, uno alla volta, facendoli sedere di fronte al giudice, che subito parlò:
“Prigioniero 0675 , furto di cibo dalle cucine, primo atto ribelle, via il braccio”
“Prigioniero 0768 , furto di cibo dalle cucine, secondo atto ribelle, via il braccio”
e così via
Poi posò lo sguardo su Lincoln
“Prigioniero 1203, omicidio di una guardia, a morte”
ed infine su Micheal
“Prigioniero 1450, tentata fuga e danneggiamento, a morte”

Lincoln si girò, quasi consapevole.
“Dunque, fratellino, il nostro destino è scritto”
Ma Micheal non ascoltava, era rimasto fermo al momento in cui qualcuno aveva deciso al posto suo che sarebbe dovuto morire.
Il cappio al collo stringeva, Micheal era in mezzo ad altri due condannati. A destra aveva il fratello, a sinistra uno sconosciuto.
“Ho paura Linc. Ho paura”
“Ti sembra che io non ne abbia?Stiamo per morire, Mike. Ti avevo detto di non venire.”
“E avrei vissuto sapendo di non aver fatto niente per non perderti?
“Ma almeno saresti stato vivo.”
“Ma è vita, dimenarsi nel dolore?”
“E’ sempre vita, Mike.”
“Ho paura, Linc.”
“Anche io.”
E s’aprì la botola.

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Re: [#1] Crossover (racconti) 31/03/2016 16:11 #17497

L'incontro del secolo
Tema: Gli farò un'offerta che non potrà rifiutare

I

Ricordava ancora esattamente il momento in cui aveva visto il volto del reduce, durante un notiziario della CNN. A impressionarlo non erano stati soltanto la storia dell'uomo, la prigionia, i problemi con la legge o l'eroismo nel liberare i prigionieri americani in giro per l'Asia. La vera sorpresa era giunta dall'incredibile somiglianza fisica che condivideva con quell'uomo.
Rocky non versava in buone condizioni economiche. Nonostante avesse guadagnato moltissimi soldi durante una gloriosa carriera, si ritrovava prossimo al crack finanziario. Molti parassiti si erano attaccati alla sua fortuna come piattole, sfruttando ingenuità e buon cuore. Il grande pugile entro poco tempo sarebbe finito al tappeto e non si sarebbe più alzato.
Mentre meditava cupamente sul futuro, ebbe un'idea. In TV era stato riferito che il soldato aveva praticato la boxe da ragazzo, prima dell'addestramento nei Berretti Verdi. Perché non sfidarlo, rilanciando così la propria immagine e guadagnando un bel po' di soldi? Rocky era certo che gli sponsor avrebbero sostenuto quell'evento a suon di dollari. Comunque fosse andata a finire, avrebbe vinto l'America.
Il vecchio campione non poteva più partecipare a un vero combattimento, non dopo i danni rimediati nell'incontro con Drago. Ma a un'esibizione sì, soprattutto contro un pugile non professionista.
Paulie fu entusiasta dell'idea:
“Questa è geniale, cognato! Ci giochi per un paio di riprese, poi al momento giusto gli piazzi due scariche, lo mandi giù e lanciamo i palloncini a stelle e strisce!”
Invece Adriana si era preoccupata, concreta come al solito:
“Rocky, non conosciamo quell'uomo. Sappiamo solo che è stato addestrato per essere una macchina da guerra. Non è sicuro salire sul ring con lui”.
Il grande campione non l'aveva ascoltata, testardo come al solito. Aveva mobilitato i contatti presso i marchi americani che in passato avevano sponsorizzato i suoi incontri. Molti avevano manifestato interesse per l'idea e si erano resi disponibili a partecipare economicamente. Nel giro di un mese aveva trovato circa cinque milioni di dollari, e ottenuto un mezzo sì dall'Astrodome di Houston. Ma raggiungere il suo avversario non fu così semplice come immaginava.
I militari non gli diedero nessuna informazione. Sembravano parecchio scocciati del fatto che il veterano fosse diventato famoso all'improvviso, dopo essere rimasto nell'ombra per oltre vent'anni. Del resto si trattava di uomo impiegato per risolvere emergenze in maniera anticonvenzionale, uno di quei soldati che neppure dovrebbero esistere. L'unica possibilità per Rocky era quella di contattare il giornalista della CNN che aveva curato il servizio. Prima di scucirgli le agognate informazioni, dovette promettergli un sacco di bigliettoni e un paio di interviste esclusive.
L'uomo che cercava era mezzo navajo e dopo aver risieduto a lungo nel sud est asiatico, era tornato a vivere nella riserva in cui era nato, in Arizona. Non aveva telefono, non amava la gente e non voleva essere disturbato. Ma Rocky aveva in serbo una proposta per lui, una di quelle che non si possono rifiutare. Il vecchio pugile comprese che avrebbe dovuto viaggiare personalmente fino alla casa di quel reduce strano e misterioso. Adriana si offrì di accompagnarlo, ma Rocky fu irremovibile:
“No, tesoro. Quel tipo è un uomo tutto d'un pezzo, come me. Sento che posso convincerlo, ma soltanto se saremo noi due, soli”.
Non era mai stato in quella parte d'America, tanto meno in una riserva indiana. Il vecchio pugile rimase spiazzato e rattristato dalle condizioni di vita di quel luogo sabbioso e sperduto, tra indigenza, alcolismo e malattia mentale. Chi era in grado di farlo se ne andava appena possibile, mentre a rimanere erano solo i disgraziati, tranne rare eccezioni. Si fermò all'emporio per farsi indicare la strada.
Il proprietario si rivolse a lui con cauta cordialità:
“Ehi John, alla fine sei venuto giù dalla tua montagna. Qual buon vento ti porta dalle nostre parti?”
Subito Rocky non comprese, poi si rese conto che l'incredibile somiglianza doveva aver ingannato il bottegaio.
“Non sono John, ma lo sto cercando. Mi chiamo Rocky Balboa e credo che tu sappia chi sono”.
L'uomo strabuzzò gli occhi, sorpreso.
“Certo che lo so. Ho sempre pensato che la tua somiglianza con John Rambo fosse addirittura incredibile, ma non avrei mai immaginato che arrivassi fin qua per cercarlo. Con Drago sei stato davvero grande. Persino in questo posto dimenticato da dio ti abbiamo seguito con il cuore in gola. Prima di darti le indicazioni per la capanna di John, devi assolutamente farmi un autografo. E voglio una foto con tutta la mia famiglia”.
A Rocky fece piacere l'interesse del negoziante, per quanto fosse impaziente di raggiungere il suo uomo. Lo attendeva una lunga scarpinata e probabilmente una notte all'addiaccio, a meno che non fosse riuscito a capire come funzionava la tenda che aveva acquistato al negozio. Lui era uno di città e non era mai stato in campeggio.
Fu così che i due uomini si ritrovarono uno di fronte all'altro, poco dopo l'alba. Rimasero a lungo in silenzio, mentre verificavano la prodigiosa rassomiglianza. Solo l'espressione del volto era del tutto diversa, aperta e simpatica quella di Rocky, impassibile e fredda quella di John.
“Temevo che mi avresti cercato prima o poi, dopo la CNN. Vieni, ti posso offrire solo dell'acqua”.
La capanna del veterano era semplice e povera. I due uomini si sedettero per terra all'aperto, rimirando lo splendido bosco montano che li circondava.
“John, voglio proporti un incontro, un'esibizione. Siamo due eroi americani, che l'abbiamo scelto o no. Ci sarà molto interesse nel vedere un nostro combattimento”.
“Non mi interessa, non voglio più avere nulla a che fare con la violenza. Ormai uso il coltello solo per la caccia e la scure per la legna. Perché dovrei accettare la tua proposta? Solo perché sembriamo gemelli? Mi sa che hai fatto un sacco di strada per niente”.
Rocky ancora non lo sapeva, ma quello sarebbe stato il discorso più lungo che avrebbe mai sentito da John.
“Ho per te una borsa da un milione di dollari. Io ne terrò tre e un altro ancora andrà per organizzare l'evento. Hai sicuramente bisogno di soldi, guarda dove vivi. Potrai finalmente andartene da questo buco”.
L'ex militare lo osservò dritto negli occhi, inespressivo.
“Non mi interessano i soldi, e l'unico posto dove posso vivere è questo”.
“Ma avrai qualcuno a cui dare i verdoni, no? Metteremo su un grande evento, e potremo aggiungere i diritti televisivi ai nostri ingaggi. E poi ci sarà la percentuale sui biglietti d'ingresso. Io... io devo avere quei soldi e tu sei la mia unica possibilità. Posso arrivare fino a un milione e mezzo”.
Il volto di Rambo non mutò in nulla, ma un frullio di pensieri invase la sua mente, il corpo immobile per un intero minuto. Poi l'uomo si riscosse.
“Voglio un milione e mezzo e metà dei diritti televisivi e dei biglietti. Ma non chiedermi mai perché ho accettato”.

II

Il grande giorno era finalmente arrivato, l'incontro del secolo stava per essere disputato. Negli ultimi tre mesi John aveva vissuto a Philadelfia, a casa di quello che poteva essere definito il suo unico amico, allenandosi assieme a lui.
Durante la conferenza stampa di presentazione, Rocky aveva dato il meglio di se, raccontando un mare di aneddoti e storielle buffe. Nonostante questo, il soldato lo sentiva affine, poiché entrambi erano degli autentici combattenti.
Tra poco l'avrebbero chiamato ad attraversare il palazzetto, prima di salire sul ring. Rocky aveva deciso che John sarebbe stato accompagnato dall'inno del suo battaglione. Il reduce non avrebbe avuto un accappatoio, bensì una tuta da assalto e sotto dei pantaloncini dello stesso verde della divisa.
Quando uscì dagli spogliatoi entrando nell'arena, rimase abbagliato dai potenti riflettori. Nelle sue orecchie esplose il boato della folla, composto da urla entusiastiche, da insulti feroci e perfino da un tifo sfrenato. Un intero settore della struttura era stato riservato ai Berretti Verdi e da quella zona si innalzava un coro fragoroso, poiché i militari stavano cantando l'inno che lo accompagnava.
John giunse sul quadrato e il frastuono aumentò ancora, anche se poteva sembrare impossibile: Rocky Balboa era sceso tra il pubblico. I palloni gonfiabili con le sponsorizzazioni vennero lanciati nell'immenso palasport, mentre il grande campione dei pesi massimi fendeva la folla. Sul suo accappatoio era disegnata una mappa degli Stati Uniti e sul capo portava un cilindro a stelle e strisce. Ovunque spuntarono bandiere, in una parossistica celebrazione dell'America e dei suoi eroi.
La tentazione di fuggire era grande, ma John non poteva farlo, non se voleva i soldi che gli erano stati promessi. Per ottenerli doveva resistere almeno tre riprese, altrimenti avrebbe ricevuto solo centomila dollari. Per distrarsi si concentrò su un episodio accaduto all'incirca un mese prima, durante una delle frequenti notti insonni.
Lui e Rocky si erano incontrati in cucina, alle quattro del mattino.
“Anche tu non riesci a dormire? Vieni, andiamo fuori”.
Il reduce aveva seguito l'amico senza pronunciare una sola parola. Una volta in strada si erano messi a camminare velocemente uno di fianco all'altro.
“Solitamente dormo bene John, ma in questo periodo no. Credo di essere rimasto suggestionato da quel poco che so di te. Ogni notte sogno di essere prigioniero in un campo nella giungla, con dei maledetti orientali attorno a me. Non riesco a scacciare il pensiero”.
Rambo era trasalito. I due erano in sintonia e si trovavano bene assieme, ma quella vicinanza poteva addirittura influenzare i sogni?
La sua attenzione venne catturata dalla presentazione ufficiale dei due contendenti e dall'inno americano, cantato da un'importante attrice di Hollywood. Poi l'incontro cominciò.
Si erano accordati per passare due riprese tranquille, senza colpi potenti. All'inizio nessuno avrebbe preteso un vero combattimento, trattandosi solo un'esibizione. Eppure sapevano entrambi di non poter tirare troppo la corda, altrimenti sarebbero stati fischiati e quello non poteva succedere. Non a due grandi eroi americani.
Nella terza ripresa Rocky cominciò a fare sul serio, per evitare che il pubblico iniziasse a rumoreggiare. In John montò una rabbia quasi cieca, la stessa che aveva temuto di provare, fin dalla mattina in cui era stato sfidato. Ogni volta che sentiva dolore, vedeva passare di fronte a se spezzoni della sua vita violenta. Il raziocinio gli diceva di controllarsi, l'istinto di passare all'attacco.
Strinse i denti. Ricordò a se stesso di aver accettato perché voleva dare i soldi ai famigliari dei tre compagni di prigionia, di cui aveva indirettamente causato la morte. Durante la sua prima esperienza in Vietnam era stato catturato e torturato per giorni interi. Poi aveva ricevuto un'offerta impossibile da rifiutare, rivoltagli dall'unico dei torturatori vietcong che parlasse inglese.
“Io tortura te, ma se tu alzi il braccio, io tortura uno dei tuoi compagni”.
All'epoca Rambo non aveva resistito al dolore, e aveva chiesto pietà in tre diverse occasioni. I compagni che l'avevano sostituito, erano morti nelle mani di quei bastardi e lui non aveva mai smesso di sentirsi in colpa. Era diventato quello che era diventato, solo per vendicarli. E anche se era passato tanto tempo, voleva ancora indennizzare i parenti.
Quando terminò la terza ripresa, Rambo prese una decisione. Aveva ottenuto il denaro che voleva, ma sapeva che da quel momento in poi non avrebbe più potuto controllarsi. Se avessero unicamente boxato, Rocky avrebbe vinto facilmente. Ma se lui avesse perso il controllo, avrebbe anche potuto uccidere l'amico, in un feroce corpo a corpo.
Fu allora che John si alzò dallo sgabello e dopo aver scavalcato le corde, corse via tra la folla. Tutti rimasero in silenzio, allibiti. Guardando le facce della gente che lo circondava, Rambo scoppiò a ridere fragorosamente, come non gli accadeva da troppo tempo.

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