Ve l'avevo promesso: l'idea c'era ma non sapevo come svilupparla. Per sfortuna sono in ritardo di un giorno e mezzo ma meglio di niente
Ogni feedback sarà il ben accetto.
P.P.
Da qualche parte nella cittadina di F. c’è una stanza buia. Non potrebbe essere altrimenti visto che sono le sei del mattino di una piovosa giornata di Dicembre. Gli scuroni serrano completamente le finestre della camera da letto conferendo alla stanza un aspetto tranquillo e pacifico, come un sistema isolato dove non un filo d’aria o di luce può entrare oppure uscire, apparentemente. Sul letto riposa un uomo. Le spalle rivolte alla porta. Osserva sveglio la finestra chiusa ma non la può vedere; diciamo che osserva il punto dove sa perfettamente che la finestra apre la stanza verso il mondo esterno.
“Toc, toc” un suono sordo alle spalle dell’abitante della camera. Qualche isante di silenzio. Due nuovi colpi alla porta seguiti da una voce impostata, quasi solenne, che preannuncia l’entrata in stanza di uno straniero. L’uomo steso non muove un muscolo ma non è paura né accidia la sua. Si accende un globo luminoso nel cielo.
« Salve Kevin » queste sono le parole che seguono il suono dell’apertura dell’uscio; quest’ultimo non ha prodotto rumore mentre la seguente chiusura della porta ha creato un leggero riverbero all’interno della camera da letto. Kevin non s’è mosso nemmeno questa volta. Il nuovo personaggio della nostra scena avanza a piccoli passi verso la figura distesa. Con metodo si avvicina piano, come se fosse un rituale. Resta in piedi qualche attimo squadrando attraverso gli occhiali l’uomo disteso a pochi metri da lui. Avvicinatosi ulteriormente afferra una sedia e si dispone su uno dei due lati del letto, quello lungo.
« Kevin? » la domanda cade nel vuoto. L’uomo disteso sembra essere un fantoccio tanto è fermo. L’intruso ne osserva la schiena, all’altezza dei polmoni. Un dubbio nasce nella sua testa ma non lascia che questo pensiero rimanga ipotetico a lungo. L’uomo sdraiato viene afferrato sulla spalla con decisione. Seguono un paio di strattoni. A quel punto Kevin ruota il collo e notata una presenza compie lo stesso movimento con il busto e le gambe. Ora osserva il suo interlocutore. Lo sguardo è spento.
Con malcelato orgoglio l’intruso estrae un taccuino e lo mostra impaziente a Kevin. Non gli importa di esserse piombato in quella stanza alterando il sistema. Gli importa ancora meno che l’uomo di fronte a lui non risponda nulla: se lo aspetta, in qualche modo, nonostante la domanda. Ciò che gli interessa veramente è muovere quella raffica di foglietti che vengono fatti turbinare davanti agli occhi di Kevin. I foglietti contengono delle scritte a penna molto spigolose, non decifrabili. Kevin torna a guardare l’interlocutore dopo pochi istanti, l’espressione non è affatto cambiata per tutta la durata di quella intrusione.
« Si tenga forte: ho fatto una scoperta che aiuterà a riportarla qui. E’ stato via a lungo, tanti e tanti anni, ma ora siamo pronti a riportarla nel mondo. Dagli studi effettuati con i miei colleghi abbiamo finalmente potuto capire qual è il suo problema. Lei soffre di uno stato di sonno catatonico. E’ per questo che non parla mai, perché il suo cervello le indica che lei dorme mentre lei è sveglio. Non è incredibile? Pensavamo a un disturbo di un altro tipo, invece lei è solo in forte stato catatonico. Oh, è magnifico! »
Kevin non muove un muscolo come di consueto. Il dottore lo osserva senza sorpresa. Continua a cercare un contatto con il paziente solo perché è abituato a fare così. La logica imporrebbe di evitare qualsiasi interazione con una persona catatonica. Poco importa.
L’impasse viene spezzata solo qualche minuto dopo. Lo fa l’intruso quando, osservato l’orologio e notata l’ora, si alza dalla sedia riportandola in pochi attimi vicino alla scrivania, gira le spalle al maato e si avvia verso la porta. Bussa due volte. La porta si apre.
« La sveglierò Kevin e poi potrò lasciarla andare, non è giusto che lei stia qui dentro. »
Kevin torna ad osservare il punto dove la finestra ora è illuminata dal bulbo. Afferra un blocco di carta e scrive.
"
E’ successo di nuovo. Non capisco come sia possibile ma è successo di nuovo. Il silenzio per me è l’unica via anche perché non saprei come interagire. Anche oggi come giorni addietro la mia percezione è stata messa a dura prova. All’improvviso sono stato preso per una spalla e sono stato posto davanti a una strana entità. Non so bene come descriverla ma non era diversa dalle altre entità che mi hanno aggredito nei mesi scorsi. Mi sforzerò provando a darvi una descrizione: non è né più e né meno di un enorme forma rotonda posta su di un parallelepipedo. Da questo si apre ad intervalli irregolari un foro dal quale escono delle linee e dei punti. Le linee ed i punti corrono verso di me e rimbalzano per tutta la stanza, permeandola a tratti per poi sparire. Ogni tanto un punto colpisce qualcosa ma non scompare: diviene sempre più piccolo, cambia di colore, cambia di forma e poi si dilegua. Sono molto spaventato e l’unica alternativa è quella di non dare segni di vita. Mi manca Dora, la mia amata Dora. Ma forse è un bene, anche lei ultimamente era mutata in qualcosa di mostruoso, di indescrivibile. Ricordo l’ultima volta che la dipinsi, quando ancora i due mondi nei quali ho vissuto erano sovrapposti. Dora se ne stava seduta su di una sedia, che oltre al suo vestito giallo e nero era l’unico punto di contatto con il mondo reale. L’Espressione austera però si impastava con questo mondo geometrico tanto che sono stato costretto a disegnarla con mani composte da piccoli quadrati e con due visi: la metà destra quasi umana, quella sinistra geometricamente imperfetta.Quel quadro rappresenta il mio passaggio da un mondo all’altro. Non sono sicuro che riuscirò più a tornare indietro."
Se poteste osservare il taccuino notereste che non vi sono scritte, ma solo forme geometriche imperfette e sovrapposte. Quasi un disegno. Kevin, che nel messaggio si firma Pablo, è disteso nella consueta posizione. Il taccuino ha un’intestazione stampata: “Ospedale psichiatrico Paradise City”.